Il bivio della sinistra, campo largo o vicolo cieco
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Il bivio della sinistra, campo largo o vicolo cieco

Un’opera di Renato Mambor

Elezioni 2022 Abbiamo perso perché non abbiamo combattuto nelle viscere di una società impoverita e impaurita. Dal 2011 il Paese vive in una bolla tecnocratica che ha svilito la politica

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 28 settembre 2022

Non abbiamo perso perché il governo Draghi è caduto, ma esattamente per il suo contrario, ovvero per la natura di quel governo, e ancor di più per la percezione di distanza avvertita da milioni di persone provati dalla pandemia, dalla guerra e dalla crisi economica. Un governo di emergenza e unità nazionale trasformato via via in opzione politica, l’agenda Draghi.

Confondendo l’indubbio prestigio individuale di Draghi, anche a livello internazionale, con il consenso nel Paese. Un governo che non ha scelto come priorità un’ azione riformatrice redistributiva capace di entrare nelle case degli italiani.
La rottura del campo largo ha fatto il resto, rendendo la contesa elettorale una pura formalità testimoniale di fronte alla avanzata delle destre. E anche qui la responsabilità a me pare chiarissima. Come si può pensare di costruire un rapporto strategico con Conte e il suo movimento e contestualmente delegittimare, irridere, forzare scissioni parlamentari che valgono zero nella società, non favorire il rapporto con S&d in Europa, metterli fuori dal board della presidenza del parlamento europeo favorendo il partito della Meloni (si, anche questo è accaduto).

Abbiamo perso perché non abbiamo combattuto nelle viscere di una società impoverita e impaurita. Abbiamo perso perché dal 2011 il Paese vive sospeso in una bolla tecnocratica che ha svilito la politica, le sue forme organizzate, la sua spinta ideale. Con l’unica eccezione di “Piazza grande”, un momento promettente, capace di attivare centinaia di migliaia di persone, soffocato in culla da meccanismi asfissianti che ordinano gli equilibri del Pd dalla sua nascita.

Ma la destra ha vinto non solo perché il campo democratico era diviso. Ha vinto perché la sua leader appare, agli occhi degli elettori, credibile e coerente. Una vittoria figlia di un percorso lineare, identitario e popolare, fondato sul no alla deriva tecnocratica e appunto al governo Draghi. Si dicono patrioti, atlantisti, rispettosi delle loro radici, con lo sguardo attento a tranquillizzare il Paese. Hanno una idea del mondo e si battono per realizzarla. Una cosa semplice.

Se vince la semplificazione social tra élite e popolo, lei incarna il popolo noi l’élite. E forse non del tutto a torto. E da ultimo, seppure in termini velleitari, si pongono il tema della sovranità e della indipendenza. Lo fanno male perché pongono il tema sul terreno nazionale e non europeo, ma almeno nominano lo snodo centrale della crisi delle democrazie.

Noi si riparte dall’opposizione. Spero che il cantiere rosso- verde continui il suo percorso di ricomposizione della diaspora della sinistra e di quella ecologista.
Penso che il Pd dovrà organizzare un congresso vero, a tesi, col tempo che serve, dove al centro ci sia la sua natura e il rapporto con la società italiana e non l’ennesima leadership da idolatrare e bruciare nel volgere di una stagione.

Sarebbe, da ultimo, importantissima la stabilizzazione del Movimento5Stelle nel campo progressista. A partire dalla difesa a oltranza del reddito di cittadinanza.
Queste culture politiche dovrebbero poi trovare il coraggio di ricominciare a tessere una tela comune, quella del campo largo, senza la quale non c’è ibridazione, cambiamento e non potranno esserci vittorie elettorali. Questo ricominciamento va fatto ora se non vogliamo consegnare alla destra, senza combattere, anche il Lazio e la Lombardia.

E va fatto anche tornando insieme a muovere, nella società, una opposizione netta alla dimensione ideologica che la Meloni agiterà: dai migranti ai diritti civili, dall’autodeterminazione delle donne alla scuola, dal sindacato alla propaganda nazionalista.
Prepariamoci a questo scenario e facciamolo in fretta. Dovremmo difenderci da una offensiva etica che sarà forte, anche perché l’unica possibile, visto che non potranno fare di altre. Le compatibilità’ economiche e le alleanze internazionali non saranno mai in discussione. Dunque saranno i comportamenti individuali, oltre che una tassazione socialmente ingiusta, l’oggetto della battaglia che ci aspetta.

Il consumo di cannabis, la libertà affettiva e sessuale, la libertà delle donne, il migrare, una certa idea di ordine che minerà l’espressione creativa dei ragazzi e le ragazze nelle scuole e nelle università. La lotta ai poveri e non alla povertà. Lì ci aspetteranno. Facciamoci trovare pronti. Possibilmente uniti.

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