I tassi vanno su finché qualcuno va giù, un terremoto targato Federal Reserve
Effetti collaterali I piani restrittivi della Fed dovevano deprimere i posti di lavoro, invece toccano la finanza
Effetti collaterali I piani restrittivi della Fed dovevano deprimere i posti di lavoro, invece toccano la finanza
Una storia di criptovalute e di tassi di interesse. A distanza di 15 anni da Lehman Brothers, gli Usa sono di nuovo in apprensione per il proprio settore bancario.
Ci sono due banche, la Silvergate Capital e la Silicon Valley Bank. Nel giro di due giorni, il titolo della prima è crollato del 42% (fallita), quello della seconda del 60%. Siamo al 9 marzo. Ieri, dopo che era arrivata a perdere il 62%, Silicon Valley Bank è stata «chiusa» dalle autorità della California. Ne hanno risentito immediatamente le principali banche del Paese (JPMorgan Chase, Bank of America, Citigroup, Wells Fargo, Morgan Stanley e Goldman Sachs): 54 miliardi di dollari volati via in ventiquattr’ore. In fibrillazione le borse di tutto il mondo, anche Milano giù pesantemente, zavorrata proprio dai bancari.
PER LA SILVERGATE Capital, banca specializzata in criptovalute, hanno contato molto il collasso, lo scorso novembre, di Ftx, l’exchange fondato da Sam Bankman Fried, e il persistere della tendenza ribassista sul mercato delle monete virtuali. Ma è un caso circoscritto. Più sistemico si presenta invece il problema della Silicon Valley Bank.
I FATTI. La storica banca delle start-up con sede a Santa Clara in California, tra le più grandi degli States, lo scorso mercoledì aveva avviato una repentina raccolta di fondi per tappare un buco di 1,8 miliardi di dollari. Il valore delle obbligazioni emesse era pari a 2,25 miliardi. La cosa non viene presa bene dagli investitori. Inizia la fuga dei clienti, anche su consiglio di grandi fondi di investimento e società di venture capital (spiccano Founders Fund, Coatue Management e Union Square Ventures). Le azioni crollano, il panico dilaga, l’epilogo del fallimento.
ALL’ORIGINE di questo terremoto ci sono senz’altro gli effetti della politica monetaria restrittiva della Fed. Tassi di interesse più alti si traducono in un aumento della remunerazione del capitale investito in bond statali. Funziona così: il tasso di riferimento della banca centrale è l’architrave di tutti i tassi: sale il «tasso guida», salgono i rendimenti sui bond. Il problema è che c’è un rapporto inversamente proporzionale tra il rendimento ed il valore di un titolo. A tassi di interesse più alti corrisponde una svalutazione di quest’ultimo.
Un grosso problema per le banche che ne hanno troppi in pancia. Come nel caso della Silicon Valley Bank, che per rimborsare i depositanti (tanti, con problemi di liquidità proprio a causa della stretta della Fed sul credito), ha dovuto vendere le obbligazioni detenute ad un prezzo più basso di quello iniziale (la minusvalenza di 1,8 miliardi di dollari).
TASSI DI INTERESSE e rischio recessione. Quest’ultima rimane ancora un’evenienza possibile. E il suo incombere non fa bene alla solidità del quadro finanziario americano e globale. Intanto, proprio ieri, sono arrivate le nuove stime sul mercato del lavoro negli Stati Uniti. Il mese di febbraio sono stati «creati» 311mila posti di lavoro rispetto al mese precedente. Troppi. Gli analisti se ne attendevano al massimo 225mila. Più posti di lavoro significa più reddito, quindi più consumi. E questo non va bene con l’inflazione che rimane elevata.
Un’altro giro di vite sui tassi, quindi? La logica porterebbe a questo. Ma l’incendio partito dalla banca californiana dovrebbe far riflettere sugli effetti di un ulteriore aumento del costo del denaro. Per di più se si mette in conto un forte rallentamento dell’economia globale. Rischio contagio? Il New York Times ha sottolineato che il fallimento della Silicon Valley Bank può essere paragonato, per alcuni aspetti (valore degli asset dei clienti, ad esempio), a quello della Washington Mutual nel 2008.
NON BISOGNA trascurare,inoltre, la dimensione globale dell’istituto. Svb opera, oltre che negli Stati Uniti, anche in Europa, in Asia e in Israele. Proprio in Israele sono state centinaia le start-up che hanno ritirato i propri soldi dai conti correnti nelle ultime quarantotto ore. Per quanto adesso si cerchi di minimizzare, insomma, la situazione non può che destare preoccupazione. La crisi di liquidità delle imprese può creare nuovi casi Svb. Senza contare gli appetiti della speculazione, peraltro già pesantemente in azione.
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