Come promesso, questa mattina il ministro della Giustizia Carlo Nordio si recherà, accompagnato tra gli altri dal capo del Dap Carlo Renoldi, in visita al carcere romano di Regina Coeli (dove fino a qualche giorno fa era detenuto il giovane pakistano che dorme ininterrottamente da mesi, considerato in quell’istituto un «simulatore» e mai sottoposto ad adeguati accertamenti medici). Nel pomeriggio poi, il Guardasigilli si trasferirà a Napoli per un’altra toccata e fuga alla casa circondariale di Poggioreale.

Entrambi gli istituti di pena, come tutti purtroppo, hanno vissuto il dramma dei suicidi in cella, come quello di Francesco Iovine, 43enne anoressico che, quando ad agosto si è tolto la vita nel reparto sanitario di Poggioreale, pesava appena 43 chili. Una lunga lista di morti evitabili a cui ieri si è aggiunto il 73esimo suicidio, avvenuto nel carcere di Termini Imerese, Palermo. Il più alto numero che si sia mai registrato nelle carceri italiane.

L’uomo che si è impiccato nei bagni dell’istituto siciliano aveva 45 anni e cinque figli, era rientrato da due giorni in carcere perché ai domiciliari aveva picchiato sua madre. Scontava appunto una pena per maltrattamenti sulla moglie ed aveva avuto problemi di tossicodipendenza. Le cronache locali parlano di una disabilità ma dalla Casa circondariale arriva la smentita parziale: aveva «solo» una protesi al ginocchio, dicono.

Rimane il fatto che, come fa notare l’associazione Antigone, in Italia «in carcere ci si uccide oltre 21 volte in più che nel mondo libero». «Il tasso di suicidi è oggi pari circa a 13 casi ogni 10 mila persone detenute: si tratta del valore più alto mai registrato», scrive Antigone che calcola: «Quasi il 50% dei casi sono poi stati commessi da persone di origine straniera. Se circa un terzo della popolazione detenuta è straniera, vediamo quindi come l’incidenza di suicidi è significativamente maggiore tra questi detenuti». Inoltre, «dalle poche informazioni a disposizione, sembrerebbe che circa un terzo dei casi di suicidi riguardava persone con un patologia psichiatrica, accertata o presunta, e/o una dipendenza da sostanze, alcol o farmaci».

È interessante infatti confrontare questi dati con il tasso di suicidi nella popolazione libera: nel 2020 uno studio dell’Iss calcolava che l’Italia, «con un tasso grezzo di 8,2 per 100.000 abitanti (su tutte le età) resta uno dei Paesi con la mortalità per suicidio più bassa d’Europa, quasi la metà rispetto alla media dei Paesi dell’Ue». Mentre l’Eurostat e il Consiglio d’Europa hanno calcolato che nel 2020 il tasso dei suicidi nella cittadinanza era di 0,6 ogni 10 mila persone, mentre tra i detenuti condannati il tasso saliva a 7,9 e tra i prigionieri in custodia cautelare si arrivava a 19,1.

Eppure, c’è chi fa peggio dell’Italia anche in questo campo: la Francia per esempio, con i sui 43,1 suicidi ogni 10 mila detenuti e con 175 carcerati suicidatisi in cella nel 2020 (numero assoluto più alto di quell’anno) è in questo senso uno dei Paesi peggiori d’Europa. Prima della Francia, al top di questa triste classifica, ci sono solo Repubblica Ceca, Lettonia e Austria. Ma il dato non può e non deve consolarci.