I preparativi del processo a Hamas e i rischi per il diritto
Israele Alon Harel: «Temo che pur di arrivare alla condanna di così tante persone, Knesset e governo possano emendare le leggi per ridurre le tutele a garanzia degli imputati»
Israele Alon Harel: «Temo che pur di arrivare alla condanna di così tante persone, Knesset e governo possano emendare le leggi per ridurre le tutele a garanzia degli imputati»
La prossima settimana riprenderanno le udienze del processo che vede Benyamin Netanyahu chiamato a rispondere di accuse di corruzione. Ma non è la gestione del procedimento penale che riguarda il primo ministro che tiene impegnati i più alti dirigenti del ministero della giustizia di Israele assieme ad esperti e docenti universitari. Come «processare» Hamas è il compito assegnato a centinaia persone dopo l’attacco lanciato da Gaza al sud di Israele dal movimento islamico in cui sono morti circa 1.200 civili e militari. Gli interrogativi che si sta ponendo un think tank del ministero sono innumerevoli: come provare le accuse per ognuno degli imputati; come giustificare interrogatori che vanno avanti da sette settimane senza tutele per gli arrestati; come incriminare con la stessa accusa centinaia di detenuti; come gestire a livello interno ed internazionale eventuali condanne a morte; dove processare gli imputati: nei tribunali ordinari o in tribunali speciali. Sullo sfondo c’è il desiderio non celato di organizzare un processo (o vari processi) che deve essere l’espressione di un trauma nazionale e che a livello mediatico e simbolico dovrà avere l’impatto mondiale che ebbe quello del 1961 contro il nazista Adolf Eichmann. Netanyahu e molti altri leader politici israeliani sin da subito ha messo sullo stesso piano Nazismo ed Hamas e paragonato il movimento islamico palestinese allo Stato islamico.
Malgrado l’importanza della questione e degli interrogativi sui rischi per il diritto legati alle intenzioni contro centinaia di uomini, veri e presunti, di Hamas responsabili di uccisioni, rapimenti e gravi violenze (anche di alcuni stupri, sostiene Israele) a danno di civili residenti nelle località israeliane a ridosso di Gaza lo scorso 7 ottobre, l’interesse internazionale resta scarso e solo da poco la stampa israeliana comincia a dare più informazioni su quanto si sta discutendo. Il ministero della Giustizia intanto non risponde a domande sull’argomento.
Sono centinaia i militanti di Hamas e i civili di Gaza entrati con loro in Israele il 7 ottobre, attualmente nelle mani delle forze di sicurezza israeliane. Come e quando saranno rinviati a giudizio nessuno lo sa. «Non sarà un processo farsa» detto alla rivista Shomrin il prof. Amichai Cohen, esperto dell’Israel Democracy Institute. «Naturalmente si è instillato il desiderio di vendetta, tuttavia condurremo un processo legale adeguato, esporremo il crimine al mondo, processeremo i terroristi e forse alla fine si deciderà anche di condannarli alla pena capitale. Ma non sarà una vendetta». Meno sicuro di ciò è un altro professore, Alon Harel, docente presso la Facoltà di legge dell’Università ebraica di Gerusalemme. «Non posso negare di essere preoccupato – dice al manifesto – temo che pur di arrivare alla condanna di questo numero enorme di persone, la Knesset e il governo possano emendare le leggi e ridurre le tutele a garanzia degli imputati». Harel non accetta l’equiparazione tra i crimini attribuiti ad Hamas nel sud di Israele e quelli commessi dai nazisti. «Sono fenomeni diversi» spiega Harel «il nazismo è un’altra cosa (rispetto ad Hamas, ndr), il genocidio è una cosa diversa rispetto ai crimini senza orribili senza dubbio, con elementi di antisemitismo, commessi da Hamas. Politicizzare i crimini a scopo propagandistico è pericoloso e potrebbe ritorcersi contro Israele».
Shomrim ha scoperto che il ministero della Giustizia ha modificato i regolamenti in modo che, dopo la prima udienza di detenzione, l’arrestato compaia dinanzi al giudice entro 45 giorni e non più 15. A sette settimane dall’attacco, Israele non rivela quante persone sono state catturate e detenute. Gli investigatori dello Shin Bet (servizio segreto interno) e dell’Unità 504 dell’intelligence militare dicono solo di aver ottenuto informazioni di «eccezionale importanza». Il tempo però passa e si presenta il problema che gli arrestati non hanno avuto sino ad oggi assistenza legale. Il professor Harel pone l’accento su un aspetto fondamentale. «In un processo penale – spiega – il lavoro della polizia sul campo è estremamente importante: individuare il Dna (e anche lo sperma, in caso di stupro) e qualsiasi altra prova forense che potrà essere utilizzata in tribunale. Le atrocità perpetrate il 7 ottobre, tuttavia, hanno lasciato una scia di caos totale». Gli investigatori lavorano da quasi due mesi per raccogliere testimonianze e prove. Tuttavia, il recupero dei corpi di israeliani e di militanti di Hamas uccisi è stato effettuato in condizioni molto particolari in cui nessun ha pensato alla questione delle prove. Per Israele tutti gli arrestati hanno preso parte a omicidi, saccheggi, violenze, ma arrivare a stabilire le responsabilità di ognuno di loro è ritenuto a dir poco improbabile. Da qui il rischio paventato da Harel che gli uomini di Hamas «saranno gestiti con strumenti giuridici diversi e speciali».
Infine, c’è la questione della difesa degli imputati. Sembra che non ci sia un solo avvocato difensore nello Stato di Israele disposto ad occuparsi di questi casi. Anche Eichmann fu difeso, da un avvocato tedesco, Robert Servatius. Con i militanti di Hamas cosa accadrà? Le domande su come Israele giudicherà i responsabili del 7 ottobre sollevano inevitabilmente la questione della pena di morte. La Knesset ha approvato la lettura preliminare di un disegno di legge presentato dal deputato Limor Son Har-Melech (Otzma Yehudit) che impone la pena di morte a chi è condannato per terrorismo, anche senza un verdetto unanime dei giudici. Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir vuole subito l’approvazione della legge.
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