Tante persone, centinaia, tantissimi giovani e le bandiere delle realtà che hanno aderito al presidio di ieri quasi ad abbracciare quelle palestinesi che si erano prese Piazza Madonna di Loreto. A chiamare la protesta contro la visita del premier israeliano Netanyahu in Italia sono stati la Comunità palestinese di Roma e del Lazio e i Giovani palestinesi, nelle ore in cui lui raggiungeva Roma.

Durante il presidio, passa un lungo corteo di auto blu, qualcuno suggerisce: «Lì dentro c’è Netanyahu». Un altro ironizza: «Pensate che lo farebbero passare in mezzo a una piazza piena di palestinesi?» .

INTANTO QUELLA piazza si riempie. E dal palco improvvisato, i gradoni di via dei Fori imperiali, si sussegue una voce dopo l’altra. C’è Maya dei Giovani palestinesi: «Netanyahu dovrebbe essere portato davanti alla Corte penale internazionale, non accolto. Basta fare accordi con il regime di apartheid israeliano».

Gli fa eco Karim, della stessa organizzazione: «Viene portando in dote tesori, accordi, tecnologie militari. Non li vogliamo. E a quelle persone, ai liberal, progressisti, che protestano in Israele, proteste che condividiamo, io chiedo: dove siete quando ogni giorno il vostro esercito fa incursioni, uccide indiscriminatamente, rapisce e imprigiona senza motivo. Dove siete quando per legge sono state normate discriminazioni su base etnica?».

Al presidio partecipano in tanti, la comunità curda, Rifondazione comunista, Potere al Popolo, Rete dei Comunisti, gli studenti di Osa e Cambiare Rotta. Anche i «Queer per la Palestina» che dicono no al pinkwashing. E i palestinesi critici dell’Autorità nazionale palestinese guidata da Abu Mazen: «No alla cooperazione alla sicurezza, solidarietà alla resistenza».

Il presidio palestinese a Roma (Chiara Cruciati)

Stefano di Rc dice di non stupirsi («Un fascista che si chiama Netanyahu incontra una fascista che si chiama Meloni») e Vincenzo in rappresentanza dei curdi tesse le fila tra le due lotte («Fratellanza verso il popolo palestinese che combatte da tantissimi anni una tra le battaglie più dure al mondo, generosi combattenti che stanno resistendo nelle città della Cisgiordania contro il fascismo dei coloni e di un governo altrettanto fascista, come quello turco di Erdogan»).

GIULIA DI PAP omaggia le donne palestinesi il giorno dopo l’8 marzo: «Sono loro il nostro esempio di donne, non Meloni che decide di continuare a finanziare la guerra e di ospitare un criminale terrorista come Neyanyahu».

Mentre Lidia di Assopace ricorda la doppia oppressione sulle donne, «l’occupazione israeliana e il sistema patriarcale, la cui fine è intrinsecamente legata alla fine dell’apartheid israeliana. Non si può essere donne libere in una terra occupata». Perché, alla fine, chiosa Ernesto di Osa, «la resistenza palestinese sta anche nelle scuole, nelle università e nei posti di lavoro dove si combatte l’oppressione, è una lotta unica contro lo stesso sistema».