A cinquant’anni dal celebre incontro sulla «responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e di giustizia nella diocesi di Roma» del 1974 – meglio conosciuto come il convegno «sui mali di Roma», il dipartimento di Comunicazione e ricerca sociale della Sapienza e l’Istituto di Studi Politici «S. Pio V» promuovono un articolato convegno su «i nuovi mali di Roma». Certamente il clima di effervescenza sociale di allora – che nel ’74 coinvolgeva anche il mondo cattolico di base, che infatti sarà tra i promotori dell’incontro organizzato dall’allora cardinale Ugo Poletti – è molto diverso dalla velata rassegnazione che investe le energie sociali della città oggi.

EPPURE L’AMBIZIONE non sembra diversa: mettere in connessione la memoria storica alla più recente ricerca sociologica, stimolando un processo virtuoso in grado di incidere sulle politiche urbane. E prima ancora, ricostruire una fiducia nello sviluppo della città, da troppo tempo condannata a una narrazione che la vuole colpevole ben al di là dei suoi concreti demeriti. «Roma fa schifo», prima ancora di essere uno slogan di pessimo gusto (e quindi di successo), è un modo di annichilire ogni volontà di riscatto e ogni esigenza di partecipazione – anche conflittuale – ai destini della città.

Forse proprio per la sua caratura urbana «eccezionale» (nel bene come nel male), Roma è al centro di una produzione scientifica senza eguali, almeno in Italia. Quali sono, dunque, i nuovi mali della città, d’altronde segnalati ad nauseam dalla ricerca empirica? La crisi urbana che caratterizza il territorio metropolitano è il risultato di due processi convergenti: la gentrificazione della città storica e moderna (che assume le forme della turistificazione in centro e della «riqualificazione» nei quartieri interni all’anello ferroviario); e lo sprawl urbano – ovvero la periferizzazione continua del suo territorio, quale risultato diretto dell’espulsione di popolazione dalla città consolidata verso i suoi lembi estremi sfigurati dalla fame edilizia. Roma da cinquant’anni ha stabilizzato la sua popolazione attorno alle 2milioni e 700mila persone. Osservando più da vicino il dato, ci accorgeremmo che la stasi è solo apparente: in realtà, la città entro il raccordo anulare perde popolazione, quella esterna al raccordo la acquista, come risultato di una trasmigrazione che però – questo il dato rilevante – non arricchisce economicamente o socialmente i nuovi quartieri di insediamento.

Roma continua ad essere monocentrica, generando a cascata i problemi di mobilità – irrisolvibili stante l’attuale modello di sviluppo urbano; di inquinamento – risultato diretto del pendolarismo monocentrico; e di marginalizzazione sociale della sua periferia, funzionale al ruolo monodimensionale di contenitore di manodopera per il centro cittadino.

ROMA è una città sovraestesa e sottopopolata. Parigi ha una dimensione di 105 kmq; New York di 785 kmq; Roma di 1.287 kmq. Eppure agli oltre otto milioni di newyorkesi corrispondono, come detto, i due milioni e mezzo di romani, che rendono la città una delle meno densamente abitate dell’Occidente. Questo fattore impedisce la capillarità dei servizi pubblici, in primo luogo un efficiente sistema di trasporti, e a cascata ogni altro servizio di cittadinanza. Roma è divenuta così una fabbrica di diseguaglianze, dove alla classica dicotomia tra ricchezza e povertà si somma quella della «marginalità», che non coincide con il livello di reddito individuale o famigliare, ma con la più generale qualità della vita dei quartieri oltre il raccordo. Anche per questo, la città sviluppa continuamente i suoi anticorpi, è vitale nonostante un modello di sviluppo deprimente.

LA PERIFERIA diviene così laboratorio di nuovi linguaggi e di nuove pratiche di resistenza: linguaggi e pratiche non sempre «progressivi» – si vedano le varie forme del rancore «sovranista», che proprio nella periferia romana ha trovato spesso terreno fertile. Ma anche rifiuto cosciente della scorciatoia identitaria, in una sorta di composto sincretico che rimodella le storiche lotte sociali (vanto della Roma novecentesca) con le nuove resistenze alla barbarie post-cittadina.
Il convegno che comincia domani per proseguire il 16, vedrà, oltre che più generazioni di studiosi a confronto, anche la presenza delle più alte cariche comunali, a partire dal sindaco Gualtieri. Un modo, infine, per ricordare la figura di un grande storico recentemente scomparso, Vittorio Vidotto, appassionato studioso della Roma moderna, quella caotica, irrisolta e ingovernabile perennemente in equilibrio tra civiltà e barbarie.

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SCHEDA. Se ne discuterà da domani

I lavori del convegno dal titolo «I nuovi mali di Roma», si aprono domani mattina alle 9.45 a Roma nella sede di Binario 95, in via Marsala, mentre il resto degli incontri in via Salaria 113 (facoltà di Sociologia). La prima tavola rotonda dedicata a «Roma ieri e oggi» prevede la presenza di Michele Sorice, Emma Amiconi, Ella Baffoni, Oliviero Bettinelli, Miguel Gotor, Mario Marazziti, Giovanni Moro. Sull’aspetto della storia e della memoria interverranno invece tra gli altri Elena Papadia, Augusto D’Angelo, Bruno Bonomo, Maurizio Ridolfi. La giornata proseguirà con Stefania Parisi e Mattia Diletti che introdurranno l’abitare la città, insieme a Massimo Ilardi, Carlo Cellamare, Stefano Portelli, Fabio Di Carlo e Maria Chiara Libreri. Si conclude il primo giorno con un Panel dedicato a immagini e immaginari, insieme a Isabella Pezzini, Giulia Fiocca, Lorenzo Romito, Fabio Ciammella, Silvia Leonzi, L. Virgolin e Giuseppe Allegri. Sul sito della Sapienza il programma completo.