A Monfalcone la popolazione bengalese rappresenta un terzo dei residenti e lo si vede: un mondo che le donne colorano con i loro vestiti, molte con hijab che secondo la sindaca Anna Cisint sarebbero «sacchi in testa». Sono arrivate dopo che i loro compagni qui hanno trovato lavoro, a migliaia in Fincantieri. Bambine che qui sono nate e bimbetti come quello scortato a casa da solerti vigili urbani per appioppare la multa al padre colpevole di averlo fatto uscire a giocare armato di una mazza da cricket che, come si sa, a Monfalcone è un gioco che non si può fare. Ma c’è una sindaca che vuole metterli in riga perché, dice, non si vogliono integrare e sono un pericolo.

Quest’anno, poi, rincorrendo uno scranno europeo, Cisint vuole aggiungere ogni giorno una riga al suo già ricco curriculum. Dopo il divieto di entrare in mare «senza costume» – quello canonico usato dalle donne italiane – l’abbiamo sentita addolorarsi perché a Monfalcone «si vedono girare sempre più donne con il burqua», il ché non è proprio vero ma non è detto che una sindaca sia tenuta a distinguere tra i diversi abbigliamenti «non occidentali».

C’è qualcos’altro, oltre alla denuncia? Non pare. A quei volontari che chiedevano al Comune una stanza per poter fare lezione, la risposta è stata una paginata di parole accorate sull’integrazione ma l’aula non si è vista. Sono più di cento le donne bengalesi che continuano a seguire le lezioni dell’Associazione Monfalcone Interetnica e più di mille le domande arrivate questo autunno al Cpia ma non c’è posto e più di metà restano fuori. Integrare si potrebbe se si volesse.

Poi arriva l’attacco terroristico di Hamas in Israele e la campagna elettorale di Anna Cisint spiega le vele. L’occasione è data da una manifestazione contro la guerra con in piazza anche un gruppetto di ragazzini a gridare «Free Free Palestine» che la sindaca interpreta come «Morte a Israele» e un tanto basta per sparare ulteriore disgusto. E poi il colpo grosso: sostanziale divieto di preghiera per i musulmani. La scusa? I due centri culturali in cui pregano non sono centri di culto. Ci sono moschee a Monfalcone? No. «Le regole ci sono e vanno rispettate. Anche da loro» dice. Sempre un «noi» e un «loro», con il dubbio ci siano pesi e misure diverse perché, commenta qualcuno, «stando al Piano Regolatore la Chiesa ortodossa è in un negozio e idem la Chiesa di Cristo …». La Comunità musulmana di Monfalcone chiede di poter pregare in un cortile ma arriva un secco «no» perché la sindaca ha il suo refrein: sempre attivissima sui social e non solo, batte e ribatte sulla «evidente radicalizzazione» facendo notare che durante le funzioni chissà cosa dicono perché non parlano in italiano. Intanto, al centro culturale islamico Darus Salaam viene spedita una lettera con alcune pagine del Corano bruciate.

Ma Cisint non è soltanto una sindaca in una cittadina. L’emulo in tailleur di Salvini ha supporter potenti: la versione più xenofoba della Lega trova in lei il candidato ideale. E la pubblicità è l’anima di una carriera politica. In casa Mediaset si fa risaltare il «coraggio» di cotanta donna. Eccola in Tv, in quella trasmissione che propina opinioni «fuori dal coro», mentre sparge terrore sull’incubo islamico da quella barricata resistente che è diventata Monfalcone. E poi l’uscita di ieri del Giornale sulle «balle» che verrebbero raccontate: nessun divieto di pregare con le ordinanze adottate ma sacrosanti motivi di sicurezza. Un tanto che si somma alle paginate di un mese fa dedicate a «Gli Ultimi Italiani» dove Cisint sostiene «L’Imam è stato chiaro: vogliono sostituirci». Di quale Imam si tratti non è detto ma certo non di Abdel Kinani, interlocutore del parroco don Paolo Zuttion in una recente occasione interreligiosa. Ne è seguito un foglio distribuito nel Duomo di Monfalcone dove il parroco dell’Unità pastorale ha scritto che il pericolo attuale non è l’islamizzazione ma l’allontanamento dalla cristianità.