Nella lunghissima introduzione che la premier snocciola di fronte alle delegazioni dell’opposizione c’è una contraddizione palese e i primi a segnalarla sono proprio gli alleati leghisti. «Nel nostro programma elettorale era indicata una riforma in direzione del presidenzialismo e abbiamo ricevuto un mandato per una riforma di questo tipo», afferma Meloni. Poi però squaderna le tre note ipotesi, accompagnando al presidenzialismo anche il semipresidenzialismo e il premierato. Perché, spiega «io sono disposta a immaginare schemi diversi anche rispetto alle mie condizioni, purché garantiscano il rispetto della volontà popolare e la stabilità di governo». Il premierato è inesistente nel mondo. Però «non è detto che l’Italia non possa immaginare un suo modello».

Riccardo Molinari
Se la premier vuole passare all’elezione diretta del presidente del consiglio la Lega chiede garanzie per il ruolo del parlamento
Salvini, che arriva solo nel primo pomeriggio, non commenta. Al suo posto, dagli studi di Agorà, si era esposto il capogruppo Molinari: «Nel programma c’era l’elezione del presidente e quello è l’accordo che c’è. Se la premier vuole passare all’elezione diretta del presidente del consiglio la Lega chiede garanzie per il ruolo del parlamento». Lontano dalle telecamere Molinari è anche più esplicito: «Se hanno cambiato idea rispetto al programma leggiamo cosa propongono». Ma le proposte devono escludere la norma per cui se il premier eletto viene sfiduciato o si dimette le Camere vanno a casa.

Non si tratta di una riserva limitata: se il premier eletto può essere sostituito tutta la retorica sul «rispetto della volontà popolare» finisce gambe all’aria e la situazione torna agli anni ruggenti del bipolarismo, quando gli elettori, sia pur senza vera elezione diretta, indicavano chiaramente Berlusconi o Prodi salvo poi vederli sostituiti in corso d’opera. Né è facile immaginare di imporre l’obbligo costituzionale di cambiare il premier ma con la stessa maggioranza: a uscirne distrutta sarebbe l’autonomia dei parlamentari.

D’altra parte inserire la norma che il Carroccio contesta significherebbe ridurre il presidente della Repubblica a un simulacro, spogliato delle sue prerogative fondamentali: la nomina del premier e dei ministri, la decisione sullo scioglimento delle Camere.
Se la Lega potesse muoversi da sola, preferirebbe di gran lunga fare sponda col Pd e con la sua proposta di cancellierato piuttosto che con la coppia Renzi-Calenda e il loro progetto del «sindaco d’Italia». Ma per la premier l’elettività è il cardine stesso della riforma, sul quale è decisa a tener duro a ogni costo. La Lega lo sa perfettamente ed è dunque probabile che la fronda a sorpresa sul premierato miri soprattutto a una trattativa parallela, quella sull’autonomia differenziata.

Oggi scadono i termini per indicare le audizioni in particolare dei costituzionalisti sulla bozza Calderoli: la stragrande maggioranza boccerà la bozza. Sempre ieri il Coordinamento per la democrazia costituzionale ha annunciato di aver superato 65mila firme per la legge di iniziativa popolare che mira a bloccare il percorso dell’autonomia differenziata. In questa cornice la premier è decisa a far procedere la riforma presidenzialista e quella sull’autonomia della Lega di pari passo. Significa ritardare il varo dell’autonomia che invece la Lega vuole incassare prima delle elezioni europee. Molinari è tassativo: «L’autonomia ha già il suo calendario. La legge di bilancio lasciava un anno per l’approvazione dei Lep. Nel frattempo si deve approvare il ddl per assegnare le competenze legislative».

La Lega calerà la carta premierato sul tavolo dell’autonomia, che del resto non è la sola tensione nella maggioranza. Ieri Zafarana ha lasciato il comando della Gdf per passare alla guida dell’Eni. Al suo posto è subentrato per ora ad interim il vice Andrea De Gennaro, candidato del sottosegretario Mantovano. Ma Giorgetti, con Crosetto, resta contrario e frena: «È una designazione delicata che va attentamente ponderata».