I conti privati si gonfiano, la povertà pubblica si moltiplica
Che l’Italia fosse il paese di Bengodi per gli evasori lo sapevamo già. Tra condoni, sanatorie, ravvedimenti o ricorsi, l’hanno sempre fatta franca. In questo clima di impunità, non sorprende che milioni di cartelle esattoriali, per un valore di 1.100 miliardi di euro, siano ferme da anni.
Il direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto M. Ruffini, in un’intervista a La Stampa (11 aprile), lamenta che, il potere di riscossione dello Stato è prossimo allo zero. Gli strumenti per agire ci sarebbero, è il cuore del suo ragionamento, ma mancano indicazioni politiche chiare. Questa denuncia, per quanto clamorosa, non fa notizia. Tiene banco, invece, un’agguerrita destra di governo che pretende e ottiene dal presidente Draghi l’impegno a non aumentare in alcun modo la tassazione. Nonostante un debito pubblico che viaggia intorno a 2.700 miliardi, grandi proprietari, oligarchi nostrani e ricchi ereditieri possono stare tranquilli.
La riforma fiscale appare un semplice restyling dell’esistente. La destra, che si è battuta per mantenere lo statu quo, segna un punto a suo favore. La revisione del Catasto non avrà alcun effetto fiscale. Sui redditi patrimoniali, anziché un’aliquota unica e più alta, come da legge delega, resteranno aliquote differenziate. Non ci sarà lo spostamento della pressione fiscale dal lavoro alle rendite, come auspicato dalla stessa Ue.
Eppure il trend fiscale è preoccupante e avrebbe dovuto suggerire un deciso cambiamento di approccio e di prospettiva. Le entrate dell’Irpef e dell’Iva diminuiscono del 10 per cento. Il reddito medio dei lavoratori dipendenti scende sotto i 21 mila euro. Il reddito medio dei lavoratori autonomi si attesta sui 53 mila euro, più del doppio di quello dei lavoratori dipendenti. Ma è da questi ultimi e dai pensionati che proviene l’80 per cento delle entrate Irpef. Infine, su 41,2 milioni di contribuenti, solo il 4 per cento (1,6 milioni) dichiara di guadagnare più di 70 mila euro (fonte Mef).
Solo il 4% dei contribuenti italiani dichiara redditi superiori ai 70mila euro lordiMef
Emerge un quadro sconfortante, l’immagine di un paese povero, ma le cose non stanno esattamente così. Gli effetti della crisi si riflettono in modo difforme sul corpo sociale. La realtà è più sfaccettata e complessa di quanto non dicano le statistiche.
Ci sono imprese ed attività che hanno subito drastiche riduzioni del volume d’affari e settori che, invece, hanno registrato un forte incremento produttivo e commerciale. Ci sono famiglie che non ce la fanno a pagare le bollette e l’affitto, che contraggono debiti e che ora soffrono il caro-vita. Altre che, invece, escono indenni dalla crisi e continuano ad arricchirsi, nonostante la crisi.
Sui conti correnti degli italiani sono depositati 2mila miliardi di euro (+100 miliardi solo durante la pandemia)
Lo dimostrano i conti correnti privati, che si sono gonfiati di 100 miliardi nel periodo dell’emergenza Covid, avvicinandosi alla cifra record di 2 mila miliardi.
Secondo i dati ufficiali, in Italia ci sono circa mille milionari e 40 miliardari
In Italia i milionari, secondo una stima difettosa (per l’alto livello di evasione), sono circa mille. I miliardari, che nel 2019 erano 36, sono intanto diventati 40. E ci tocca pure ascoltare la tiritera che non bisogna mettere le mani nelle “tasche degli italiani”, facendo intendere che tutte le tasche siano vuote, quando sappiamo che, in piena crisi, c’è chi realizza profitti ed extra-profitti. Governo e Parlamento guardano indifferenti alle crescenti disuguaglianze sociali e territoriali.
I partiti cercano l’accordo su una finta riforma, che in sostanza lascia tutto come prima.
Restano tutte le iniquità verticali e orizzontali. Le aliquote Irpef sono state ridisegnate a favore dei redditi medio-alti e regrediscono mano a mano che i redditi salgono. La base imponibile dell’imposta personale è erosa da un groviglio di bonus che servono ad accontentare una miriade di interessi particolari e corporativi. Viene confermata la flat tax al 15 per cento per le partite Iva fino a 65 mila euro, cavallo di battaglia della Lega di Salvini, che si batte per elevarne il tetto a 100 mila euro. Una vergogna che sancisce la disparità di trattamento con quei lavoratori dipendenti che, a parità di reddito, versano l’imposta sulla base di un’aliquota più che doppia.
Lo sciopero generale del 16 dicembre 2021 contro l’iniquità fiscale sembra un evento lontano e dimenticato.
Il fisco attuale, che tanto piace alla destra, rende bene l’idea di uno Stato debole con i forti e ingiusto con i deboli. Appare sorprendente che, su una questione cruciale per le politiche di equità e di redistribuzione sociale, il partito democratico sia latitante e silente. Nel migliore dei casi si accoda al coro di quanti chiedono tout court la riduzione delle tasse. E poi qualcuno continua ancora a stupirsi per lo scollamento politico ed elettorale con la base sociale e popolare.
La parte di società che sta peggio, non sentendosi rappresentata e ritenendo di subire torti e ingiustizie, trova rifugio nel non voto, nell’astensionismo e, in alcuni casi, nel voto a formazioni di destra. L’astensionismo indica un grave deficit di politica e di protagonismo democratico. Esprime un malessere sociale sul quale il Pd ha rinunciato da tempo a interrogarsi.
Il fisco è questione politica, non tecnica. Rappresenta un terreno decisivo di lotta per affermare una nuova visione di società, di Stato, di democrazia.
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