Il 22 febbraio di 44 anni fa un commando neofascista faceva irruzione in casa di Valerio Verbano, nel quartiere romano di Montesacro, e dopo aver sequestrato i genitori lo attendeva per ucciderlo davanti a loro a colpi di pistola. Aveva diciannove anni, frequentava il liceo Archimede ed era conosciuto come militante dell’autonomia. Nel corso del suo impegno aveva costruito un dossier d’inchiesta sugli ambienti neofascisti, sul traffico di eroina nel quartiere e sui rapporti tra militanti d’estrema destra con gli apparati dello Stato.

Nessuna inchiesta giudiziaria è riuscita a scoprire chi lo ha ucciso, ma ogni 22 febbraio da allora, i suoi compagni e quelli che sono venuti dopo raggiungono in corteo la lapide che lo ricorda, davanti alla casa in cui viveva a via Monte Bianco. Il corteo per Valerio Verbano è l’occasione per riallacciare i percorsi della memoria e delle generazioni che sono venute dopo. E per riconnettere i fili rossi dell’antifascismo con le battaglie presenti. Quest’anno, ad esempio, la manifestazione (che parte alle 16) chiede anche il cessate il fuoco a Gaza e rivendica la liberazione immediata dell’antifascista Ilaria Salis.

Ogni anno, dunque, il ricordo di Valerio Verbano si confronta con le sfide attuali. Tra di esse l’estrema destra al governo del paese e il revisionismo sugli anni Settanta che gli eredi politici del Msi cercano di portare avanti. Così, il presidente della Regione Francesco Rocca (lo stesso che ha scelto come collaboratore l’ex militante di Terza posizione Marcello De Angelis, poi costretto alle dimissioni per le sue uscite sulla strage di Bologna e su alcune vecchie canzoni antisemite) ha fatto sapere di voler essere presente alla commemorazione. La cosa non è piaciuta ai compagni e alle compagne di Valerio. «Non vogliamo che avvenga davanti ai nostri occhi un altro teatrino dove esponenti di centrosinistra e centrodestra si stringono le mani, per dichiarare poi frasi di circostanza sugli ’anni di piombo’, una generica ’condanna della violenza’ e contro ’l’odio politico’ – dicono – La destra ’democratica’ continua a promulgare leggi autoritarie e liberticide, mentre parla di sostituzione etnica e costruisce campi dove deportare i migranti, cancella le già insufficienti forme di welfare e riempie le tasche dei padroni e vuole portare a termine il processo di pacificazione nazionale e con esso la sua piena e definitiva legittimazione». Aggiunge Luca Blasi, assessore alla cultura e alla casa del III Municipio: «Il problema è che la destra che oggi guida le istituzioni si rifiuta di riconoscere le responsabilità nella stagione delle stragi di Stato e dei tentati golpe, e non riesce a prendere fino in fondo le distanze dal neofascismo».