Lo sciopero dei benzinai è finito ieri con un cortocircuito totale. Il governo ha cercato di prendere per sfinimento le due sigle, Fegica e Figisc Confcommercio, che avevano mantenuto la protesta. E ci è riuscito, in un certo modo, alla fine di un estenuante incontro con il ministro delle «imprese e del made in Italy» Adolfo Urso. La Faib confesercenti aveva ceduto già ieri. Ma sono le motivazioni presentate dai benzinai per giustificare la marcia indietro che danno il tono a una commedia che ha conosciuto giravolte e colpi di scena tali da rivalutare le farse più serie.

«OGNI TENTATIVO di consigliare al governo ragionevolezza e concretezza non può o non vuole essere raccolto – sostengono Fegica e Figisic – Per questa ragione anche insistere nel proseguire nell’azione di sciopero utilizzata per ottenere ascolto dal governo, non più alcuna ragione di essere». Dunque, per la manifesta incapacità del governo di comprendere «concretamente» la «ragionevolezza» delle contro-proposte al suo «Decreto trasparenza», ora in discussione in parlamento, è stato revocato uno sciopero che avrebbe dovuto essere di 48 ore, fino alle 19 di oggi. E invece è finito ieri. Da oggi tutti a fare il pieno. Avanti il prossimo.

L’IRONIA USATA dai rappresentanti dei distributori ha colto il senso dell’azione di un governo in confusione. Se, di base, neghi il rapporto causa-effetto può anche capitare di perdere di vista la «ragionevolezza» delle tue argomentazioni. E non comprendere quelle degli altri. Meloni & Co. prima hanno eliminato lo sconto sulle accise dei carburanti pagato con le risorse pubbliche e poi, davanti all’aumento dei prezzi alla pompa, hanno scaricato la propria responsabilità sull’ultimo anello della catena: i benzinai «speculatori».

SFUGGE PERÒ LA LOGICA che ha portato alla revoca dello sciopero: se la parte contro la quale protesti non intende capire ragioni, continui a scioperare. E non regali un successo, puntualmente raccolto ieri dal governo. Facciamo qualche ipotesi. Ci possono essere state, ad esempio, forti pressioni da parte dei «consumatori», le cui associazioni ieri sono state particolarmente mordaci. Lo dimostra la classica guerra di cifre che si è scatenata su chi ha partecipato allo sciopero: c’è chi ha detto che avrebbe chiuso il 36% degli impianti e chi l’85%. Non va nemmeno sottovalutato il «buzz» mediatico prodotto dall’infotainement, talk show compresi. Tutti sensibili tanto al portafoglio (in media ci sono 30 centesimi da pagare in più per ogni litro), quanto all’idea che la libertà anche di lavorare si misura attraverso l’uso della macchina o della moto. E non con il blocco dello sfruttamento del lavoro alienato, in nome della giustizia climatica. Ragioni remote in tempi di crisi energetiche e di panico politico che occulta soluzioni alternative. Sta di fatto che lo sciopero della benzina è stato revocato «a favore degli automobilisti, non certo per il governo» hanno detto le associazioni degli esercenti. Per loro il «pubblico» avrebbe compreso il messaggio di fondo della protesta: i benzinai non sono il capro espiatorio del governo Meloni.

IDENTIFICARE LA SPECULAZIONE nei distributori è un danno di immagine. «A questo punto ogni disagio è del tutto inutile». Lo sciopero sarebbe servito a infliggerne un altro all’esecutivo. E, in un certo senso, ci è riuscito mostrando quanti pasticci si possono fare in 26 giorni. Il problema però resta nel «decreto trasparenza» ora in conversione. Gli emendamenti proposti dal governo non rimuovono «l’intenzione manifesta di individuare i benzinai come i destinatari di adempimenti confusi, controproducenti e chiaramente accusatori». Allora la «mobilitazione continua» in un’economia che riscopre le radici corporative e dove tutto si misura in reputazione e interessi.