Visioni

«Hit Man», un inno al mutare forma nelle sembianze del perfetto killer

foto da «Hit Man» di Richard Linklater«Hit Man» di Richard Linklater

Venezia 80 Il nuovo film di Richard Linklater, presentato fuori concorso. Gary Johnson assume le più varie identità fino a quando diventa Ron

Pubblicato circa un anno faEdizione del 10 settembre 2023

È proprio necessario essere se stessi? Prima o poi ce lo sentiremo dire da tutti. Senza alcuna distinzione di genere, genitori, figlie e figli, amiche e amici, mogli e mariti, sorelle e fratelli ci ordineranno: «Sii te stesso». Arriverà un momento della vita nel quale qualcuno ci consiglierà con aria severa o compassionevole, di far emergere il nostro io più autentico, di permettergli di risalire la corrente, di esibirsi liberamente sul palco. Non contento, ci intimerà di abbandonare tutte le maschere adoperate allo scopo di mimetizzarci in questo mondo, per mostrare il nostro vero volto. Pare inevitabile l’invito a cercare l’individuo originario che è in noi, affinché si scovi la matrice autorizzata a produrre le manifestazioni esteriori.

Ma se questo essere autentico non ci piacesse affatto? Se fosse un individuo noioso, incastrato negli ingranaggi di una vita quotidiana monotona? In quel caso, dobbiamo proprio essere noi stessi? O possiamo cimentarci con qualcosa di più falso che, però, sia in grado di dare una potente scossa alla nostra esistenza?

A SENTIRE e, soprattutto, a vedere Hit Man di Richard Linklater, la strada da prendere è esattamente opposta a quella che il senso comune indica. Il film, presentato qui alla Mostra di Venezia (Fuori Concorso), è un inno al travestimento, un incitamento a cambiare forma, aspetto, carattere. Non si sa mai, che provando a essere un altro, non ci si diverta di più, non si arrivi finalmente a fare quelle cose che pensavamo possibili solo se eseguite da altri.

Dunque non «essere se stessi» bensì «essere ciò che si vuole essere». Seguire i propri desideri, facendo in modo che non si esauriscano in un sogno a occhi aperti o chiusi. Abbandonare la propria parte (decisa da chissà quale regista) per interpretare ruoli più entusiasmanti. Insomma, essere scritturati in un’opera indipendente prodotta da noi stessi. E forse assisteremo a una versione inedita di un individuo che fino a poco tempo prima si reputava poco interessante.

Raccontato così, Hit Man rischia di essere interpretato come una seduta psicoanalitica poco professionale, se non addirittura condotta in modo irresponsabile. In realtà, si tratta dell’ennesimo film ben diretto e ottimamente scritto dal sessantatreenne regista di Houston. Dialoghi divertenti in serie, tra personaggi con i quali si può empatizzare a prescindere dalle loro azioni, che siano buone o cattive.

La storia è tratta da un articolo apparso una ventina di anni fa su una rivista texana e racconta di un uomo che oltre a essere un professore, lavorava all’epoca con la polizia interpretando il ruolo del finto killer per incastrare gli ingenui e poco raccomandabili committenti.
Il mito dell’assassino a pagamento è decostruito pezzo dopo pezzo, rivelando l’assurda credenza che esista veramente un professionista da contattare al telefono o con altri mezzi, per compiere un gesto irreversibile. E ancor più grottesca è l’idea che entrando in contatto con un perfetto sconosciuto si possa rivelare ogni aspetto più segreto e inconfessabile della propria esistenza.
Sin dall’inizio, possiamo ammirare Gary Johnson (Glen Powell) che assume le più svariate identità. E in questa rassegna di personaggi scopriamo anche un’umanità che attraverso l’idea di eliminare un congiunto, un rivale, un collega, spera di cambiare la propria vita.

TUTTO PROCEDE senza intoppi. Il professore si traveste in sicari molto diversi tra loro, presumendo di assecondare le aspettative del cliente. Non sbaglia una battuta e si fa sempre più creativo e intraprendente. Finché Gary, un giorno, non diventa Ron, uomo affascinante creato per incontrare Madison (Adria Arjona), la più classica delle femme fatale che, a sua volta, ha deciso di sbarazzarsi di un marito che le incute terrore e l’ha costretta a una vita da eterna reclusa.
Ron piace a Madison. Piace a noi. E, soprattutto, piace allo stesso Gary, pronto a farsi da parte sempre di più per essere finalmente l’altro da sé. Di più, è meglio non rivelare per non anticipare le sorprese di un lavoro che scorre fluidamente tra generi, dal noir alla commedia, dalla storia d’amore al thriller, passando, come si era detto all’inizio, per il racconto più introspettivo.

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