L’oscurità è scesa ieri sulla costa orientale mediterranea segnando l’inizio di una notte considerata da molti in Israele e Libano decisiva per la risposta di Hezbollah – annunciata giovedì dallo stesso leader sciita Hassan Nasrallah – all’assassinio del suo comandante militare Fuad Suk assieme a quella dell’Iran per l’uccisione a Teheran del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh. Solo questa mattina sapremo la concretezza di quelle sensazioni. Ad altri invece l’attacco a Israele, responsabile delle due uccisioni, non appare una questione di ore. Ski News Arabia, ad esempio, citando fonti di intelligence occidentali, ha detto che l’azione coordinata di Hezbollah, Iran e altre forze contro Israele scatterà tra il 12 e il 13 agosto, nel giorno Ticha B’Av quando si commemora la distruzione del Tempio ebraico.

Indiscrezioni riferiscono di Hezbollah starebbe spostando, in vista di una guerra totale con Israele, equipaggiamento militare e centri di comando dalla periferia sud di Beirut, la sua roccaforte, nel centro della capitale libanese. I libanesi si sono convinti che una nuova guerra sia inevitabile dopo l’uccisione di Fuad Shukr, ma la maggioranza dei cittadini ritiene che durerà poco e sarà distruttiva solo nelle aree del paese controllate da Hezbollah. Un’ipotesi che potrebbe rivelarsi drammaticamente inesatta.

In Israele non sono state ancora date ai civili le istruzioni che di solito accompagnano queste circostanze. Il Fronte interno dell’esercito ha comunicato poche cose alla popolazione, tra queste le frequenze in Fm sulle quali sintonizzare le vecchie radio chiuse da anni nel ripostiglio di casa in modo da ricevere istruzioni dalla Protezione civile durante la possibile guerra. Gli israeliani credono che Hezbollah farà il possibile, se ci sarà una guerra ampia, per colpire con i suoi razzi e droni la rete elettrica, quella della telefonia mobile e Internet. Timore confermato dalla notizia che il premier Netanyahu e i ministri hanno ricevuto giovedì sera telefoni satellitari da usare in caso di emergenza in alternativa ai cellulari. Gli israeliani fanno provvista di acqua e di alimentari ma senza particolare agitazione e comunque esiste un elenco di supermercati che rimarranno aperti sempre, anche in caso di guerra. Intanto sulle strade del paese continuano i movimenti di giganteschi autocarri che trasportano i missili antiaerei Patriot da sud alla Galilea, nel nord. Gli ospedali si sono organizzati per l’afflusso di un gran numero di feriti e hanno allestito dipartimenti d’emergenza nei parcheggi sotterranei.

Tra i palestinesi l’ansia della guerra non c’è. Almeno non tra quelli della Cisgiordania e Gerusalemme Est. E non solo perché ritengono che attacchi e rappresaglie militari interesseranno marginalmente i Territori occupati. Per i palestinesi, lo scontro di Israele con Iran e Hezbollah si inserisce in un quadro già tragico in cui Gaza è stata distrutta in gran parte e almeno 40mila persone sono state uccise dai bombardamenti aerei e dall’avanzata delle forze corazzate israeliane. Quindi, il conflitto in arrivo per i palestinesi è solo un tassello di una situazione catastrofica. «Come può preoccuparci una guerra al nord quando ogni giorno vediamo bambini uccisi dalle bombe israeliane a Gaza, case rase al suolo e la nostra gente che soffre per la fame e le malattie. La guerra l’abbiamo già in Cisgiordania da lungo tempo. L’esercito israeliano entra ed esce dalle nostre città e uccide tanti giovani. Anche qui a Gerusalemme Est affrontiamo tanti problemi», ci diceva ieri Tareq Abu Kias (non è il nome vero), un abitante di Silwan, popoloso quartiere palestinese ai piedi delle mura della città vecchia.

Venerdì di preghiera per i musulmani, così ieri tanti palestinesi hanno recitato il corano in segno di lutto per l’assassinio di Ismail Haniyeh. Soprattutto a Gaza dove il capo di Hamas era nato e aveva vissuto gran parte della vita nel campo profughi di Shate. Dalla Striscia sono giunte immagini di persone che pregano in ogni spazio possibile e commemorano Haniyeh. Se Israele intende «sradicare» Hamas da Gaza, come tante volte ha proclamato Netanyahu, uccidendo il suo capo politico lo ha solo reso più popolare tra i palestinesi. Ieri, il movimento islamico e altre organizzazioni combattenti, sono state in grado di lanciare 18 razzi verso il territorio israeliano, dimostrando di avere ancora risorse e forze. Joe Biden ha detto a Netanyahu che l’uccisione di Haniyeh non aiuta la trattativa per la liberazione degli ostaggi israeliani a Gaza.  Centinaia di persone ieri si sono riunite nella più grande moschea a Doha, in Qatar, per pregare in memoria del capo di Hamas. La salma di Haniyeh giunta da Teheran, avvolta dalla bandiera palestinese, è trasferita al cimitero di Lusail, a nord di Doha, per la sepoltura. La Turchia ha messo la sua bandiera a mezz’asta all’ambasciata di Tel Aviv e al consolato di Gerusalemme scatenando l’ira di Israele.

Il quotidiano saudita Al Sharq al Awsat scriveva ieri che Israele negli ultimi giorni non ha ucciso soltanto Shukr, Haniyeh e il capo militare di Hamas, Mohammed Deif (notizia smentita dal movimento islamico). Nei giorni scorsi, riferisce il giornale, Tel Aviv avrebbe colpito a morte, in un tunnel sotterraneo, due dirigenti del politburo di Hamas, tra cui Rahwi Mushtaha, e tre ufficiali delle Brigate Al Qassam. «Fate sapere a chi attacca i cittadini dello Stato di Israele che siamo pronti ad andare lontano, a raccogliere informazioni molto precise, a colpire e a uccidere», ha detto minaccioso il capo di Stato maggiore Herzi Halevi parlando con i riservisti dell’esercito nel Corridoio Netzarim costruito da Israele e che taglia in due orizzontalmente la Striscia. «Abbiamo colpito a Beirut e stiamo colpendo a Gaza, saremo molto forti in difesa e poi colpiremo con forza», ha aggiunto. Sul colpire non ci sono dubbi, e a perdere la vita sono quasi sempre i civili palestinesi. A Gaza city quattro membri della famiglia Abu Hashem sono stati uccisi da una bomba. I palestinesi denunciano inoltre la morte in carcere in Israele di Omar Jneid, 26 anni, a causa, affermano, di abusi e maltrattamenti.