Il rabbino capo sefardita Yitzhak Yosef non ha mai riscosso particolare considerazione in Israele. «L’aceto è il figlio del vino» dicono di lui i detrattori giudicandolo inadeguato rispetto al padre, il rabbino Ovadia Yosef, scomparso anni fa. Sabato però Yosef è riuscito a passare alla storia per una minaccia. «Se ci costringerete ad arruolarci nell’esercito, ci trasferiremo all’estero», ha detto durante il sermone nella sinagoga Yazdim di Gerusalemme tuffandosi nella dura controversia sorta sulla possibile revoca dell’esenzione dal servizio militare per 66 mila studenti dei collegi rabbinici.

Yosef ha anche accusato l’establishment politico-militare, e più in generale gli ebrei laici, di non aver compreso che le sorti della guerra a Gaza sono strettamente legate alle preghiere e all’apprendimento dei testi sacri nelle scuole religiose. «I soldati riescono solo grazie a coloro che imparano la Torah», ha affermato rispondendo al ministro della Difesa Yoav Gallant e all’ex capo di stato maggiore Benny Gantz che con insistenza chiedono che anche i giovani haredim siano arruolati nell’esercito e mandati a combattere.

Il leader dell’opposizione, il centrista Yair Lapid, ha definito le parole del rabbino capo sefardita «un insulto e una vergogna per i soldati israeliani».
Lo scontro sull’esenzione dal servizio di leva dei giovani ebrei haredim è storia vecchia. Nazionalisti e difensori dei principi sionisti – di destra, centro e sinistra – da sempre accusano la comunità religiosa ultraortodossa (circa il 10% della popolazione ebraica israeliana) di essere composta da «parassiti» che ricevono sussidi dallo Stato e poi non danno «il loro contributo alla difesa di Israele».

Una campagna senza sosta, alimentata anche dai media, che raccoglie consensi nella popolazione. Un sondaggio recente fissa al 70% la percentuale degli israeliani ebrei che chiedono che anche gli ultraortodossi vadano nelle Forze armate. È facile immaginare quanto siano cresciute dopo il 7 ottobre accuse e invettive contro i giovani haredim che passano il tempo a studiare invece di andare a sparare a Gaza.
Gallant e il capo di stato maggiore Herzi Halevi reclamano altri soldati per continuare l’offensiva Gaza e quella, sempre più probabile, nel nord contro Hezbollah in Libano. «Ne abbiamo bisogno adesso: è matematica, non politica».

Negli ultimi anni le comunità haredi si sono spostate politicamente verso la destra nazionalista e religiosa. E un numero crescente di giovani accetta di fare il militare in unità ortodosse dedicate come le Netzah Yehuda e Hetz Tzanhanim. Ma in prevalenza, per motivi religiosi, restano non sioniste e schierate contro il servizio di leva che ritengono uno strumento di laicizzazione forzata. Lo studio e l’apprendimento della Torah per gli ultraortodossi restano il perno dell’esistenza del mondo ebraico. Invece per il movimento sionista, che ha fondato Israele, è il servizio militare la fase più formativa per la società ebraica.

Per il premier Netanyahu – che ha sempre favorito l’esenzione dei religiosi dalla leva obbligatoria per garantirsi l’appoggio dei partiti haredi – il quadro politico si è ulteriormente complicato. «A premere per l’arruolamento degli ultraortodossi stavolta è anche l’estrema destra» ci dice il politologo Michael Warshansky «e questo accresce la debolezza politica di Netanyahu». Warshansky però non crede che la controversia porterà alla caduta del governo. «Alla fine il premier troverà una via di uscita. Nessun partito della coalizione vuole andare al voto, sanno di avere scarso consenso tra gli elettori e hanno bisogno di tempo per recuperare le posizioni perdute».