Hamas nella torre dei media? Israele non fornisce le prove
Guerra Promessa Sono chieste con forza dalla agenzia di stampa Ap che, come al Jazeera, aveva i suoi uffici nel palazzo Al Jalaa raso al suolo. Anche il segretario di stato Blinken non ha ricevuto alcuna prova da parte di Israele. «Arriveranno a tempo debito» assicura il portavoce militare
Guerra Promessa Sono chieste con forza dalla agenzia di stampa Ap che, come al Jazeera, aveva i suoi uffici nel palazzo Al Jalaa raso al suolo. Anche il segretario di stato Blinken non ha ricevuto alcuna prova da parte di Israele. «Arriveranno a tempo debito» assicura il portavoce militare
È stato categorico due giorni fa il premier Netanyahu. Riferendosi alla Torre Al Jalaa, il palazzo di 13 piani raso al suolo dall’aviazione israeliana e in cui si trovavano gli studi della tv Al Jazeera e dell’agenzia Usa Ap, ha detto che «vi operavano un ufficio dell’intelligence di una organizzazione terroristica (Hamas, ndr)». Per questo, ha aggiunto, «era un obiettivo legittimo». Le prove di quella presenza però non sono ancora venute fuori. Lo stesso segretario di Stato americano Antony Blinken ha detto ieri di non aver ricevuto nulla dall’alleato israeliano. Prove che chiede anche Sally Buzbee, vicedirettrice della Ap, sottolineando che l’agenzia di stampa da 15 anni aveva i suoi uffici in quell’edificio e non ha mai avuto alcuna indicazione che Hamas operasse nella Torre Al Jalaa. Il portavoce dell’esercito, il tenente colonnello Jonathan Conricus, ha risposto che Israele sta mettendo insieme le prove ma non ha detto i quando saranno pronte. «Siamo nel bel mezzo di un combattimento», ha spiegato Conricus, «a tempo debito le informazioni verranno presentate». Pronta la replica di Buzbee: «Pensiamo che a questo punto sia appropriato che ci sia uno sguardo indipendente su ciò che è accaduto, parlo di un’indagine indipendente».
In attesa che Conricus si rifaccia vivo con le prove, l’ufficio del portavoce delle forze armate israeliane resta bersaglio delle critiche della stampa estera a Gerusalemme per la vicenda non ancora chiarita del messaggio sibillino con il quale la scorsa settimana aveva annunciato la partecipazione di truppe all’attacco contro Gaza condotto dall’aviazione. In quella occasione, i media internazionali hanno immediatamente riferito dell’inizio dell’offensiva di terra. Ma non era vero. Si è poi appreso dai giornali israeliani che quell’annuncio sarebbe servito a far entrare gli uomini di Hamas all’interno delle gallerie sotterranee costruire dal movimento islamico in modo che l’aviazione potesse bombardarle massicciamente ed uccidere i presenti. Il piano israeliano avrebbe dovuto infliggere un colpo devastante ad Hamas ma, a quanto si legge, sarebbe riuscito in minima parte e ciò costringe ora Israele ad impegnarsi in conflitto con Hamas molto più lungo di quello pianificato. Le forze armate israeliane respingono questa versione dei fatti e parlano di «errore sincero» nell’annuncio dell’offensiva di terra. E riferiscono che sino ad oggi sarebbe stati distrutti cento chilometri di gallerie di Hamas.
In casa israeliana i commentatori più noti, come Avi Issacharoff (uno degli autori della controversa serie tv Fauda), sollevano dubbi sui risultati a lungo termine dell’offensiva in corso. Israele, scrive Issacharoff, sta ottenendo successi tattici come la distruzione della rete di tunnel e di altri obiettivi mentre il movimento islamico sta raggiungendo un obiettivo strategico nei Territori palestinesi occupati, nel mondo arabo e persino nelle strade dello Stato ebraico. «Hamas è riuscita a fare qualcosa senza precedenti – ha sottolineato -, oltre alle sue incessanti raffiche di razzi in profondità in Israele, ha mobilitato migliaia di manifestanti palestinesi in Cisgiordania, ha provocato lanci di razzi dal Libano e dalla Siria e, cosa molto significativa, ha attirato nella sua battaglia anche degli arabi israeliani». La risposta di Israele, ha concluso Issacharoff, comincia ad esaurirsi, otterrà una vittoria solo se colpirà il comandante dell’ala militare di Hamas, Mohammad Deif, o il leader politico del movimento islamista, Yahya Sinwar. Ma i due presumibilmente sono entrambi al sicuro.
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