Internazionale

Hamas al tempo di Yahya Sinwar

Un ragazzino tra le macerie di una casa a Beit Lahya con la bandiera verde di Hamas foto Ap/Hatem MoussaUn ragazzino tra le macerie di una casa a Beit Lahya con la bandiera verde di Hamas – foto Ap/Hatem Moussa

Tremenda vendetta Sotto l’architetto indiscusso del 7 ottobre, il movimento islamico ha vissuto l’ennesima trasformazione. Tra opacità e debolezza, Gaza sopraffatta dalla morte gli sfugge dalle mani

Pubblicato circa 12 ore faEdizione del 5 ottobre 2024

Un nuovo capitolo, per Hamas, si era aperto ben prima del 7 ottobre. Eppure il 7 ottobre è, anche per il Movimento di resistenza islamico, quel taglio della Storia che segna un prima e un dopo. Protagonista, prima e dopo, Yahya Sinwar. La figura dell’attuale capo del politburo di Hamas contribuisce in misura sostanziale al cambiamento di direzione del movimento islamista palestinese. E lo fa in poco tempo, nella sua scalata alla direzione della circoscrizione di Gaza.

Liberato nel 2011 attraverso lo scambio tra Gilad Shalit, il soldato israeliano sequestrato per cinque anni dentro Gaza, e 1027 prigionieri palestinesi detenuti nella carceri di Israele, Sinwar è l’artefice di uno spostamento di Hamas verso una gestione che in molti considerano autocratica. E la conferma è nel 2021, quando Sinwar viene riconfermato alla testa della circoscrizione di Gaza del movimento, ma ha bisogno di tre ballottaggi per ottenere il risultato.

DAL 2021 sino all’attacco del 7 ottobre, l’impegno di Sinwar sembra in gran parte focalizzato a fare dello strumento militare il centro della sua strategia. Aveva proposto un «esercito nazionale» a Gaza che comprendesse le Brigate al-Qassam e gli altri gruppi militari, composto da migliaia di combattenti. Un vero e proprio centro di coordinamento definito Comando Unificato della Resistenza. «Le nostre armi devono essere sotto l’ombrello dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina», aveva detto pubblicamente, immaginando forse ciò che – lo si è compreso drammaticamente ex post – ha realizzato il 7 ottobre 2023.

SINWAR RENDE sempre più stretto il rapporto tra ala politica e ala militare. Ne riassume il legame nella sua stessa persona e nel suo percorso. Capo della circoscrizione delle prigioni, negli oltre vent’anni di detenzione, Sinwar è stato sempre considerato anche un membro dell’ala armata. E ha mostrato quanto negli anni più recenti l’ala armata di Hamas abbia influenzato scelte politiche, cambi di direzione, e l’ascesa di alcuni dirigenti ai ruoli apicali del movimento.

È questa trasformazione di Hamas dentro una Striscia di Gaza chiusa, sigillata, sotto embargo, a segnare una differenza profonda rispetto al prima. Rispetto soprattutto al biennio 2005-2007, quando Hamas aveva partecipato alle elezioni politiche, le aveva vinte e aveva tolto il velo della clandestinità. Anche nel racconto della sua storia interna.

Il 7 ottobre, e cioè l’attacco terroristico che – sembra ormai molto probabile – ha avuto Yahya Sinwar come suo principale architetto, fa emergere anche i nuovi equilibri di potere dentro Hamas.

Da un lato Sinwar e il peso sempre più forte della circoscrizione di Gaza, dall’altro la leadership all’estero. È però con il 7 ottobre e con la guerra su Gaza da parte di Israele che ha inizio l’ennesimo, nuovo capitolo dentro Hamas. Il massacro che da un anno ha distrutto la Striscia e sterminato oltre quarantamila persone (la massima parte civili) ha anche indebolito la struttura non solo militare, ma politica di Hamas. La leadership all’estero è parte di diversi tavoli negoziali, ma aspetta il benestare di Hamas a Gaza per poter accettare accordi che però non diventano mai realtà.

IN CISGIORDANIA si assiste nelle ultime settimane a una nuova sterzata: la ricomparsa degli attacchi armati da parte di membri delle Brigate al Qassam, che per quasi vent’anni erano rimaste in una sorta di sostanziale quiescenza. È di certo una transizione, quella che sta vivendo Hamas. Non solo e non tanto per gli omicidi mirati che Israele ha compiuto, prima contro Saleh al Arouri, il membro del politburo ucciso a Beirut a inizio anno, e poi in maniera ancora più eclatante con l’uccisione extragiudiziale del capo del politburo, Ismail Haniyeh, il 31 luglio scorso a Teheran, il giorno dopo l’insediamento del nuovo presidente iraniano Pezeshkian.

NON È UN CAMBIO di passo, da parte di Israele. La strategia israeliana del «decapitare il serpente» ha segnato la storia di Hamas almeno negli ultimi trent’anni. La serie di omicidi mirati a opera di Israele ha colpito sia l’ala militare sia quella politica, sia i radicali sia i pragmatici. A cominciare nel 1996 da Yahya Ayyash, capo delle Brigate al Qassam in Cisgiordania, considerato il progettatore delle cinture esplosive degli attentati terroristici che hanno scosso le città israeliane. Per continuare con il tentato omicidio, l’anno successivo, di Khaled Meshaal, capo del politburo. E poi, ancora in alternanza, Salah Shehadeh, fondatore di al-Qassam, ucciso nel 2002 con una bomba da una tonnellata assieme ad altre quattordici persone, e due anni dopo sheykh Ahmed Yassin e dopo un mese Abdel Aziz al Rantisi, alla testa dell’ala politica.

L’eliminazione fisica dei leader non ha cambiato in modo sostanziale Hamas, come non è successo con Hezbollah, movimenti che fanno della dimensione collettiva del potere e dell’organizzazione uno dei loro tratti distintivi. Non ha, insomma, mai funzionato.

LA TRANSIZIONE di Hamas dipende da altro. Dipende da una discussione interna di cui si sa poco o niente, ma di cui si immagina qualcosa già in quello che esce in pubblico. Come il documento che all’inizio dell’anno diede una spiegazione ufficiale al 7 ottobre, mostrando in modo plateale che per avere una posizione condivisa Hamas aveva avuto bisogno di ben tre mesi di discussione interna. È una transizione all’insegna di opacità e debolezza che ha a che fare con i nuovi equilibri, evidenziati dalla designazione di Sinwar a nuovo capo del politburo. Da un lato, sembra una mossa in evidente continuità con Haniyeh, coetaneo, amico dei tempi dell’università e soprattutto esponente del movimento islamista di Gaza. Dall’altro lato, non chiarisce quale sia oggi il rapporto tra Sinwar, di fatto a capo dell’ala militare, e la leadership politica all’estero, impegnata anche a definire una possibile riconciliazione con le altre fazioni per passare il potere dentro Gaza a un governo tecnocratico.

E se è vero che Hamas ha guadagnato consensi dentro la Cisgiordania, e in genere in quello che in modo approssimativo si può definire il sentimento della strada araba, è altrettanto visibile la diminuzione del consenso a Gaza, dove lo stato di prostrazione, di lutto, di dolore è così alto.

*Giornalista, scrittrice e co-fondatrice di Lettera 22

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