Era il 1965 quando ricevetti il mio addestramento come ufficiale israeliano. A quel tempo ci veniva instillata la convinzione che le Forze di difesa israeliane (Israel defence forces, IDF) erano un esercito straordinario: invincibile ma umano, e superiore a qualsiasi altro esercito. Oggi sappiamo che non è vera né l’una né l’altra cosa. Al tempo ci avrebbe sbalordito scoprire che questo esercito non sarebbe stato in grado di difendere i cittadini israeliani da una piccola e motivata organizzazione della resistenza palestinese, priva della maggior parte delle sofisticate risorse militari che l’IDF utilizza quotidianamente. La gravità della disfatta del 7 ottobre e dei giorni a seguire va oltre ogni esagerazione. Ma allo stesso tempo sappiamo che l’esercito israeliano non ha ‘vinto’ nessuna guerra dopo il 1967, né contro un altro esercito e neppure contro i piccoli gruppi della resistenza come l’OLP nel 1982, Hezbollah nel 2006 oppure Hamas a partire dal 2008. Il fatto che questo esercito sia stato trasformato in una brutale forza di polizia che protegge gli insediamenti illegali in Cisgiordania è tenuto in scarsa considerazione, ed è incredibile.

Ma è incredibile anche la reazione internazionale agli eventi che si sono succeduti dopo l’attacco di Hamas. Alcuni semplici confronti ci aiutano a comprendere come siamo ormai assuefatti ad applicare due pesi e due misure.
Pochi giorni dopo l’attacco russo all’Ucraina, le nazioni occidentali hanno attuato una serie di sanzioni molto severe contro la Russia. Hanno offerto all’Ucraina un imponente trasporto aereo di armi e munizioni, e un ricchissimo pacchetto di sostegno finanziario, mai visto prima, a una nazione sotto attacco. I media occidentali si sono trasformati nella più sofisticata macchina di propaganda dai tempi della Guerra Fredda, e migliaia di esperti militari occidentali, così come una quantità considerevole di informazioni, hanno attraversato il confine con l’Ucraina. Non era Guerra Fredda, questa. E continua ancora, a distanza di 20 mesi.

Esaminiamo ora il caso della Palestina. La maggior parte della Palestina venne occupata dalle forze israeliane nel 1948, nonostante nel 1947 la risoluzione 181 delle Nazioni Unite assegnasse al futuro stato di Israele il 55% del paese, una decisione chiaramente ingiusta verso i palestinesi che costituivano i due terzi della popolazione e cui la terra apparteneva. Tuttavia le Nazioni Unite non fecero nulla quando Israele occupò il 78% della Palestina, espellendo 750 mila palestinesi dalle loro case; e non fecero nulla nemmeno quando Israele approvò una legge per negare la risoluzione 194 del 1949, che imponeva di far ritornare i palestinesi espulsi. Non fecero nulla neppure nel 1967, quando Israele occupò il resto della Palestina e cacciò circa 250 mila palestinesi in Giordania, ignorando ancora una volta tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite che richiedevano il ritiro dai territori occupati.

E non è successo nulla quando Israele ha costruito insediamenti illegali nei territori palestinesi occupati, in violazione della Convenzione di Ginevra e di numerose risoluzioni delle stesse Nazioni Unite. Le Nazioni Unite non hanno fatto nulla contro l’occupazione brutale, il furto delle terre e la negazione dei diritti umani. E nulla è successo quando Israele ha imposto un regime oppressivo e brutale di apartheid fino alla situazione attuale di quasi 7 milioni di palestinesi per lo più privi di qualsiasi diritto, che dal 1948 vivono nella loro patria sotto l’occupazione militare e la giurisdizione israeliana (con una breve pausa nel 1967). L’unico esercito in Palestina sono le Forze di difesa israeliane. E nulla è stato o viene oggi fatto per proteggere i palestinesi dai pogrom quotidiani portati avanti dai coloni israeliani, brutali e fascisti, con l’appoggio dell’esercito.

Evidentemente alcuni sono più uguali di altri. E questi più uguali non sono solo autorizzati a commettere crimini di guerra, ma sono anche attivamente sostenuti dai governi occidentali, godono di uno status speciale nell’UE e ricevono il più consistente sostegno militare, finanziario e diplomatico dall’Occidente, almeno fino all’inizio della guerra in Ucraina. Per 75 anni, le continue atrocità contro milioni di nativi palestinesi sono state supportate e sostenute dall’Occidente, che ha finto di impegnarsi per il diritto internazionale, l’uguaglianza e la giustizia, in nome della pace. Israele, uno dei maggiori affaristi del pianeta quando si tratta di armi e sicurezza, contribuisce a diffondere morte e distruzione e a minare i diritti umani non solo in Palestina, ma anche altrove, con i suoi hardware e software sofisticati, e addestrando ovunque forze militari e di polizia per sottomettere la protesta sociale.

Sì, Israele viola chiaramente e apertamente il diritto internazionale, minandone propositi e applicabilità. Sì, Israele commette crimini di guerra impunemente, senza mai affrontare alcuna forma di giudizio. Ma non è da solo, nella sua illegalità: senza il sostegno di Stati Uniti, Regno Unito, Unione Europea, Canada, Australia e una banda di altri paesi, non avrebbe mai potuto affliggere i palestinesi per quasi otto decenni senza incorrere in sanzioni severe, come quelle cui è stata sottoposta la Russia. La responsabilità della scioccante ingiustizia subita dai palestinesi è condivisa dai ‘compari’ di Israele, quegli stessi paesi che l’hanno sostenuto fin dall’inizio. Se la fa franca Israele, la fa franca anche la coalizione occidentale che lo mantiene. Il fatto che Israele sia lo Stato più armato del Medio Oriente e che il suo esercito sia presumibilmente invincibile, è del tutto irrilevante nell’attuale recrudescenza: è addestrato ad agire contro civili palestinesi disarmati, non contro forze di guerriglia innovative e altamente motivate che hanno imparato dall’Algeria e dal Vietnam.

Israele non è mai stato così spaccato e disunito come in questo momento, dopo dieci mesi di durissimi disordini sociali e di opposizione a un governo fascista, con ministri estremisti e razzisti che hanno inasprito le iniquità dell’occupazione senza nascondere la loro intenzione di espellere la maggior parte dei palestinesi dalle loro terre nel futuro prossimo. Come poteva rimanere spenta, questa miccia, quando Israele è guidato da simili incendiari?
Se la comunità internazionale continuerà a comportarsi in modo sconsiderato e irresponsabile, a partire dal disastroso Piano di Spartizione approvato dalle Nazioni Unite che permise a Israele di espellere la maggior parte dei palestinesi, il prezzo per la Palestina, per la regione e per la comunità internazionale potrebbe davvero essere impensabile: Israele detiene centinaia di testate nucleari, con una tecnologia in grado di lanciarle lontano da casa.

Le Nazioni Unite devono istituire con urgenza una forza di pace internazionale per garantire non solo la fine dell’attuale guerra, ma anche del conflitto molto più esteso che sta emergendo in Medio Oriente, oltre che la fine dell’illegale occupazione israeliana in Palestina.

Nel lungo periodo, solo uno Stato unico e democratico per l’intera Palestina, che offra pace, giustizia e uguaglianza, può risolvere i danni a lungo termine che il progetto sionista infligge a entrambe le comunità. Se tale soluzione è stata possibile in Sudafrica e Irlanda del Nord, perché dovrebbe essere impossibile in Palestina?

(traduzione di Enrica Capussotti)

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L’autore dell’intervento 
Haim Bresheeth-Žabner è regista, fotografo e studioso di cinema, e Professorial Research Associate alla SOAS University di Londra. è autore di An Army Like No Other: How the IDF Made a Nation (Un esercito senza eguali: Come l’IDF ha creato una nazione, 2020) e membro fondatore del Jewish Network for Palestine (Rete Ebraica per la Palestina, Regno Unito). Tra i suoi libri il best-seller Introduction to the Holocaust (con Stuart Hood, tradotto in Turchia, Croazia e Giappone). Tra le curatele The Gulf War and the New World Order, Cinema and Memory: Dangerous Liaisons (2004), e The Conflict and Contemporary Visual Culture in Palestine & Israel, numero monografico di “Third Text on Palestinian and Israeli Art, Literature, Architecture and Cinema”. Tra i suoi film State of Danger (1989, BBC2), London is Burning (2013) e Convivencia at the Turnpike (2015). Tra i film più recenti il lungometraggio The Last Honeymoon in Europe (2018) e il documentario The Mind of the Occupier (2020). Il suo ultimo libro è An Army Like No Other: How the IDF Made Israel, pubblicato da Verso nel 2020.
Per contatti: hb26@soas.ac.uk