Gwendolyn Brooks, tra lirica e prosa
Scrittrici statunitensi «Maud Martha», da Baldini e Castoldi
Scrittrici statunitensi «Maud Martha», da Baldini e Castoldi
Maud Martha è una donna nera che vive nel South Side di Chicago, quartiere operaio, popolato dalla grande massa di lavoratori che, fra il XIX e il XX secolo, si riversarono in città in cerca di impiego nella fiorente industria locale di lavorazione della carne, descritta con abbondanza di elementi orrifici da Upton Sinclair nella Giungla, un testo fondamentale della letteratura di denuncia statunitense. Molti di questi lavoratori arrivarono in città a seguito di quella che è passata alla storia come Grande migrazione: sei milioni di afroamericani in fuga dal sud avrebbero ridefinito in maniera profonda la demografia delle città del settentrione. Chicago fu una mecca di questo massiccio spostamento, ma, come scrive lo storico Carl Nightingale, anche il laboratorio in cui fu messa a punto la segregazione americana. In Paura, altro celebre romanzo di critica sociale, Richard Wright descrive infatti i ghetti del South Side con toni cupi e disperati, narrando la discesa agli inferi di Bigger Thomas, ragazzo nero precipitato nella violenza dall’oppressione e dallo squallore che lo circondano.
Nonostante la storia del quartiere sia legata al degrado e alla brutalità, niente di tutto questo si ritrova nello sguardo della donna che è protagonista dell’unico romanzo di Gwendolyn Brooks uscito originariamente nel 1953, quasi caduto nell’oblio e finalmente proposto al pubblico italiano: Maud Martha (traduzione di Gioia Guerzoni, Baldini e Castoldi, pp. 142,00, € 19,00) che ci viene presentata mentre contempla i fiori di tarassaco cresciuti nel misero cortile della casa male in arnese, dove vive con la famiglia. Paragonandosi a questi denti di leone non certo appariscenti ma tenacemente attaccati alla vita, Maud Martha è cosciente (spesso dolorosamente) della propria ordinarietà, ma non perciò si rassegna a un’esistenza grigia come la periferia che abita.
Mossa da una inscalfibile pervicacia nello scovare ciò che di straordinario si nasconde in giorni altrimenti tutti uguali, Maud lotta in maniera silenziosa ma costante contro i piccoli dolori quotidiani che minacciano di spegnere in lei la sua tensione verso la bellezza.
Gwendolyn Brooks fu soprattutto una straordinaria poetessa, che fece della Chicago nera la propria musa ispiratrice: «mi bastava guardare dalla finestra per trovare materiale» dichiarò, lodata da Richard Wright proprio per l’abilità con la quale la sua opera ha saputo riprodurre «il pathos dei piccoli destini». La formazione poetica di Brooks è evidente nella struttura del romanzo, diviso in trentaquattro brevi capitoli scritti in una prosa espressionistica che si muove tra l’interiorità della protagonista e l’esteriorità spesso ostile della vita di una donna nera appartenente alla classe operaia. Proprio grazie alla forma ibrida, sempre in bilico tra lirica e prosa, il racconto è capace di illuminare con forza sorprendente gesti altrimenti abituali – preparare la cena o andare al cinema – che si trasformano in tasselli capaci di comporre un’identità complessa e saldamente cosciente. A fronte della mediocrità imposta dall’ordine sociale, che non prevede tempo né interesse per gli ultimi, Brooks compone un’ode dedicata a tutte le donne che rifiutano di rassegnarsi ai confini di un destino angusto, trovando nella sua piccola ma tenace ribellione la forza per scrivere la propria storia.
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