«Ci stiamo avvicinando a un punto di non ritorno, con impatti irreversibili, alcuni dei quali difficili persino da immaginare». Sul clima, perciò, dice il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres alla vigilia del vertice Cop27 che si aprirà domenica a Sharm el-Sheikh, nell’Egitto del dittatore Al-Sisi, i Paesi ricchi devono firmare un «patto storico con le economie emergenti», altrimenti «non saremo in grado di cambiare questa situazione». Nella cittadella dove i delegati di quaranta Paesi del mondo si confronteranno fino al 18 novembre, per la prima volta nella storia delle Conference of Parties sui cambiamenti climatici, sarà allestito anche un Padiglione del Mediterraneo, una delle regioni maggiormente a rischio per gli effetti della crisi climatica mondiale.

La Cop di Sharm el-Sheikh, che si svolge in uno dei momenti peggiori nel quadro delle relazioni internazionali, con forti tensioni geopolitiche a causa soprattutto della guerra di Putin all’Ucraina, dovrà però cercare, afferma Guterres, in tutti i modi una soluzione condivisa e senza negare ancora una volta l’evidenza: «Non c’è modo di evitare una situazione catastrofica se il mondo sviluppato e quello in via di sviluppo non sono in grado di stabilire un patto storico, perché al livello attuale, saremo condannati».

Infatti, ripete Guterres che da mesi ha intensificato i suoi allarmi con toni sempre più allarmistici e di segno opposto ad un «tranquillizzante ottimismo» definito «un’illusione», «metà dell’umanità si trova nella zona di pericolo a causa di inondazioni, siccità, tempeste estreme e incendi. Nessuna nazione è immune. Eppure continuiamo ad alimentare la nostra dipendenza dai combustibili fossili».

Come ricordava ieri anche il Guardian, l’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Service nel 2019 ha documentato in modo scientifico che «un milione di specie sono a rischio di estinzione, gli ecosistemi naturali hanno perso metà della loro superficie a causa delle attività umane, la biomassa degli animali selvatici si è assottigliata dell’82% e il sistema di sostegno vitale della terra è a rischio collasso».

Mettendo da parte il suo aplomb diplomatico, il segretario generale dell’Onu (dal 2017), ingegnere di formazione, ha accusato già nell’aprile scorso «alcuni governi e leader aziendali» di dire «una cosa e farne un’altra»: «In poche parole, stanno mentendo». E a giugno ha ripetuto: «I produttori e i finanziatori di combustibili fossili prendono l’umanità per il collo. Per decenni, l’industria dei combustibili fossili ha investito molto nella pseudoscienza e nelle pubbliche relazioni, con una falsa narrativa per ridurre al minimo la loro responsabilità per il cambiamento climatico e minare le politiche climatiche ambiziose».

Classe 1949, nato a Lisbona da famiglia benestante che gli ha assicurato i migliori studi, Guterres è stato presidente dell’Internazionale socialista e segretario generale del Partito socialista in Portogallo, dove ha assunto il ruolo di primo ministro dal 1995 al 2002. Nel 2005 è stato nominato Alto commissario Onu per i rifugiati. Dunque ne ha viste tante, compresa la corsa agli armamenti nucleari. Eppure il suo grido di allarme si è fatto più intenso negli ultimi tempi, soprattutto sulla giustizia climatica e in particolare rivolto al G20.

Ma c’è anche chi, tra i suoi collaboratori delle Nazioni unite, non condivide appieno i messaggi sempre più «incendiari» dell’anziano leader, considerati alla lunga controproducenti perché, invece di sensibilizzare, potrebbero rendere «refrattarie» le persone, che siano cittadini comuni, manager aziendali o decisori politici. L’allarmismo, spiegano al Guardian, è sempre un’arma a doppio taglio.