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Greg Iles, la memoria ritrovata del Mississippi

Greg Iles, la memoria ritrovata del Mississippi

Il ritratto L’autore della trilogia di Penn Cage torna nel profondo sud con «Cemetery Road», per HarperCollins, un noir potente ancora una volta ambientato lungo le rive del grande fiume. Negli ultimi anni ha preso posizione perché dalla bandiera del Mississippi fosse rimosso l’emblema della Confederazione, rimasto intoccato da dopo la fine della Guerra di secessione nel 1865

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 24 ottobre 2020

Sul promontorio di Bienville che domina le acque fangose del Mississippi la fontana che celebra i caduti confederati della Guerra civile dista solo pochi passa da un bar dove quasi ogni settimana si consuma nel nome di Robert Johnson un omaggio al blues delle origini. I simboli di un conflitto che da queste parti fu combattuto anche per difendere lo schiavismo e perpetrare la supremazia dei bianchi si dividono la scena con quelli della cultura afroamericana, con la musica che più di tutte le altre ha saputo raccontare le sofferenze ma anche le speranze di generazioni di neri. Non c’è da stupirsi, siamo in Mississippi, lo Stato del profondo Sud che William Faulkner considerava metafora del mistero dell’esistenza, tanto da scrivere che «per capire il mondo dovete prima capire il Mississippi».

Da qui riparte ancora una volta Greg Iles, uno dei grandi nomi del noir contemporaneo che, nato in Germania, è cresciuto e vive tuttora a Natchez, una città di 16mila abitanti sorta al tempo delle piantagioni di cotone lungo il corso del grande fiume. Del Mississippi Iles ha fatto la figura centrale delle sue storie che indagano il passato per affrontare le sfide del presente, nella consapevolezza che da queste parti, per dirla ancora una volta con l’autore di L’urlo e il furore, «il passato non muore mai; non è nemmeno davvero passato». «Amo il Sud – confessa lo scrittore – ma non servirebbe a niente fingere che sia stato un paradiso. Chiaramente non lo era e raccontarlo non può che aiutare l’evoluzione delle cose».

[do action=”citazione”]Amo il Sud ma non servirebbe a niente fingere che sia stato un paradiso. Chiaramente non lo era e raccontarlo non può che aiutare l’evoluzione delle cose[/do]

 

Greg Iles osserva il Mississippi dalla sua casa di Natchez

 

La vicenda al centro di Cemetery Road (HarperCollins, pp. 688, euro 22, traduzione di Adria Tissoni) diciottesimo romanzo pubblicato da Iles dal suo esordio narrativo nel 1993, non si svolge a Natchez come buona parte dei precedenti, ma a Bienville, solo qualche decina di chilometri più a sud, poco prima che il Mississippi sfoci nel Golfo del Messico. Per l’occasione, Iles introduce un nuovo personaggio, Marshall McEwan, un giornalista del luogo che ha fatto fortuna a Washington, diventando un apprezzato commentatore politico – ha svolto anche un’inchiesta sui rapporti tra i russi e l’entourage di Trump -, prima di essere costretto a tornare nei luoghi della sua infanzia per assistere il padre malato e tentare di salvare dal fallimento il piccolo giornale fondato dalla sua famiglia.

La realtà che trova è la stessa che aveva lasciato, o meglio dalla quale era fuggito poco più che maggiorenne: un ristretto gruppo di notabili, corrotti e privi di scrupoli, che dominano la politica e le istituzioni e il cui potere rimanda all’ombra lunga del razzismo che affonda le proprie radici nella storia locale. Solo che nel frattempo anche in quella che era già una delle aree economicamente più depresse dell’intero Paese è arrivata la «Grande recessione», erede della crisi dei subprimes del 2008.

E così l’indagine sull’omicidio di Buck Ferris, un anziano afroamericano appassionato di archeologia, si svolge in uno scenario devastato dalla crisi sociale, con gang di ragazzini disposti ad ammazzarsi per un telefonino e dove l’unica possibilità di salvezza sembra venire da un possibile investimento cinese per costruire una cartiera sulle rive del fiume. Del resto, questi sono luoghi che come spiega Iles combattono «duramente per sopravvivere», avvelenati dalla povertà, dalla disoccupazione e, spesso, ancora dal razzismo. «Qualche segnale positivo – sottolinea lo scrittore – lo ho avuto solo di recente, aiutando ad allenare la squadra di baseball di mio figlio che gioca in un campionato dove ci sono sia ragazzini bianchi che neri». «Ancora negli anni Settanta, quando ero piccolo – aggiunge – in quei campi da gioco vigeva la segregazione razziale».

Non a caso, il personaggio più noto creato fino ad ora da Iles è stato Penn Cage, un ex avvocato divenuto sindaco di Natchez, protagonista soprattutto di una trilogia – L’affare Cage, L’albero delle ossa e Mississippi Blood, pubblicati da Piemme tra il 2014 e il 2017 – che ha venduto milioni di copie e contribuito a rilanciare nella regione il dibattito su questi argomenti. Cage deve infatti misurarsi con il riemergere dell’odio e della violenza razziale – sono gli anni della presidenza Obama osteggiata con determinazione e con ogni mezzo dall’estrema destra -, ma assiste anche alla riapertura delle indagini sui crimini insoluti degli anni Sessanta, quando in questa zona il Ku Klux Klan scatenò una campagna terroristica contro gli attivisti del movimento per i diritti civili. Ad esempio, solo nel 2005 uno degli ex leader del Klan, Edgar Ray Killen, è stato condannato per la brutale uccisione di tre giovani attivisti antirazzisti avvenuta nel 1964: la vicenda è stata raccontata da Alan Parker in Mississippi Burning.

Un passato che in questa parte del Sud, dove almeno in apparenza molto sembra essere cambiato, riemerge però regolarmente. Lo stesso Iles ne ha fatto le spese ricevendo diverse minacce dopo la pubblicazione della serie di Cage. Quando, nel 2016, ha tenuto un discorso ufficiale all’Old Capitol Museum di Jackson, la capitale dello Stato, sono state necessarie misure di sicurezza straordinarie perché le autorità consideravano l’evento a rischio. Tuttavia, quando uscì il primo romanzo della trilogia, ricorda lo scrittore, un amico libraio di Jackson, «mi ha detto “Sei riuscito a fare qualcosa che nessun altro aveva ancora tentato da queste parti: far sì che bianchi e neri leggessero lo stesso libro che parlava del razzismo».

[do action=”citazione”]Il 1850 non tornerà mai più e, grazie a Dio, neppure il 1950. La guerra civile sta finalmente finendo, 150 anni dopo la battaglia di Appomattox. E tutti dovranno affrontare questa realtà, gli piaccia o meno[/do]

 

Ma Iles non si è limitato ad usare il successo crescente del noir per porre delle domande scomode alla memoria collettiva del Mississippi, facendo sì che l’opinione pubblica locale, su questo profondamente divisa, si interrogasse sul proprio passato immaginando anche un avvenire diverso e comune. Nel 2015, insieme, tra gli altri, a John Grisham, Morgan Freeman, Jimmy Buffett, l’ex quarterback dei New Orleans Saints, Archie Manning, e a decine di altre celebrità locali, ha firmato un appello dal titolo «Una bandiera per tutti noi», pubblicato sull’edizione domenicale del Clarion-Ledger, il maggior giornale della zona, nel quale si chiedeva che dalla bandiera del Mississippi fosse rimosso l’emblema della Confederazione, rimasto intoccato da dopo la fine della Guerra di secessione nel 1865.

Se quella battaglia è stata vinta solo la scorsa estate, nel pieno della polemica sulla rimozione dei simboli confederati in tutto il Paese, a cui Trump si è opposto invano, Iles ha pronunciato in quell’occasione parole che descrivono bene il suo contributo al cambiamento della situazione del Mississippi. «La mia famiglia discende dai soldati confederati: un cavaliere della Louisiana e un fante della Carolina del Sud, ma posso fornirvi decine di argomenti storici e morali sul perché la nostra bandiera debba cambiare. Pensate a un soldato della Guardia Nazionale del Mississippi che deve servire sotto il vessillo di un esercito che ha combattuto per mantenere i tuoi antenati schiavi. Pensate ai ragazzi neri che protestano e che si faranno arrestare per aver voluto cancellare il simbolo di un mondo che li avrebbe voluti schiavi per sempre. Il 1850 non tornerà mai più e, grazie a Dio, neppure il 1950. La guerra civile sta finalmente finendo, 152 anni dopo la battaglia di Appomattox. E tutti dovranno affrontare questa realtà, gli piaccia o meno».

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