Governo Lapid-Bennett ancora incerto, Netanyahu grida al tradimento
Israele/governo Interessi di partito, differenze ideologiche e la spartizione dei ministeri rischiano di frenare il tentativo di formare il nuovo esecutivo. Lapid ammette le difficoltà. Netanyahu intanto non molla e prova silurare il progetto dei suoi avversari
Israele/governo Interessi di partito, differenze ideologiche e la spartizione dei ministeri rischiano di frenare il tentativo di formare il nuovo esecutivo. Lapid ammette le difficoltà. Netanyahu intanto non molla e prova silurare il progetto dei suoi avversari
Dopo la grande rabbia di domenica sera, quando il suo ex alleato di destra Naftali Bennett (Yamina), ha annunciato di essersi alleato con il centrista Yair Lapid (Yesh Atid) per formare un nuovo governo (senza di lui), ieri Benyamin Netanyahu ha scelto il basso profilo, cercando di colpire ai fianchi l’intesa raggiunta dai suoi avversari. Dopo aver lanciato a Bennett l’accusa in diretta tv della «grande truffa» a danno degli elettori israeliani, il premier uscente è passato alle pressioni dietro le quinte su parlamentari e dirigenti dei partiti di destra decisi ad abbandonarlo. La strategia è convincerli che quello che sta o starebbe per nascere sarà un «governo di sinistra» che tradirà gli ideali e i programmi della destra, metterà a rischio la sicurezza di Israele e non difenderà e non espanderà le colonie ebraiche costruite nei territori palestinesi occupati. Per «persuadere i traditori» non solo sono stati organizzati raduni di protesta davanti alle loro abitazioni da parte di attivisti pro-Netanyahu. In qualche caso sono anche partite minacce sulle quali sta indagando la polizia.
Ma il governo multicolore Lapid-Bennett – che tutto è ma non un esecutivo di sinistra, più correttamente si dovrebbe definirlo un «governo del cambiamento» (del premier) che può mandare all’opposizione dopo 12 anni Netanyahu – fino a ieri sera non era ancora nato. Non si sa neppure se l’islamista Mansour Abbas (Raam), con i suoi quattro seggi, offrirà un fondamentale appoggio esterno al nuovo esecutivo. Abbas vuole la carica di vice ministro dell’interno. Intanto si avvicina inesorabile la scadenza, domani, dell’incarico per la formazione dell’esecutivo che Lapid ha ricevuto dal presidente Rivlin.
Lapid ha ammesso che «ci sono ancora molti ostacoli» sulla formazione del nuovo governo ma si è detto fiducioso di poter finire in una settimana in modo da dare un «premier diverso» a Israele. «Se questo governo sarà formato – ha detto – la parola chiave sarà responsabilità. Riportare quiete…Se volete capire perché dobbiamo cambiare la leadership in Israele, ascoltate il discorso ieri (domenica) di Netanyahu. Pericoloso e pazzo, di qualcuno che non ha più limiti. La sua debolezza indebolisce tutti noi».
La stampa israeliana ha fatto riferimento all’appartenenza alla Commissione per le nomine giudiziarie come esempio di disaccordi tra gli otto partiti della futura coalizione. Nelle trattative con Yesh Atid, la leader del Partito laburista, Merav Michaeli, ha ottenuto un seggio in quella commissione e Yamina intende chiedere che anche l’ex ministra della giustizia Ayelet Shaked vi sia inclusa per evitare che si formi una maggioranza «di sinistra». Scontri sono sorti anche intorno al ministero dell’agricoltura rivendicato sia da Blu Bianco del ministro della difesa Benny Gantz che da Yisrael Beitenu di Avigdor Lieberman leader della destra laica schierata contro i religiosi ortodossi (rimasti fedeli a Netanyahu). Altri ostacoli, legati più agli interessi personali o di partito che all’ideologia, potrebbero impedire a Yair Lapid di sciogliere la riserva. Bennett da parte sua deve tenere conto della ribellione di Amihay Shekeli che rischia di privare la risicata maggioranza del nuovo governo del voto di uno dei sette deputati di Yamina. Le prossime ore saranno decisive.
Sullo sfondo della formazione del nuovo governo israeliano ci sono le trattative condotte dall’Egitto per il rafforzamento del cessate il fuoco tra Israele e Hamas, al quale i media riservano uno spazio minimo nonostante la sua fragilità. Il movimento islamico ieri si è detto disposto ad entrare «immediatamente» in negoziati con Israele per lo scambio di prigionieri. Lo ha detto il leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, durante una visita nella Striscia del capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel. Allo stesso tempo respinge che la questione dei prigionieri sia collegata alla ricostruzione di Gaza martellata per 11 giorni dall’aviazione israeliana. «Si tratta di argomenti che vanno tenuti separati» ha insistito Khalil al Haya, il numero due dell’organizzazione. Abbas Kamel ha riferito a Gaza la posizione di Israele che intende recuperare i corpi di due militari morti in combattimento a Gaza nel 2014 ed ottenere la liberazione di due civili entrati anni fa nella Striscia di propria volontà. L’Egitto ha anche proposto di ospitare al Cairo colloqui «per riorganizzare la casa palestinese» e superare lo scontro tra Hamas e il presidente dell’Anp Abu Mazen.
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