Quanto costerà l’intera settimana di mancate votazioni parlamentari decisa come omaggio a Silvio Berlusconi? Probabilmente non poco nell’economia dei lavori parlamentari, la cui gestione è da tempo passata nelle mani del governo. Prova ne sia la mail che il capo di gabinetto del ministro per i rapporti con il parlamento Luca Ciriani ha inviato ai colleghi degli altri ministeri. Per avvertirli che bisogna serrare i ranghi, presidiare aule e commissioni e rinunciare a emendamenti non coordinati e soprattutto tardivi.

La mail, che anticipa una lettera del ministro, contiene anche un minaccioso avvertimento: la presidente del Consiglio in persona riceverà un report mensile dal quale risulterà quali ministri e quali sottosegretari si sono comportati bene e quali no. Difficile non vedere in questa iniziativa anche un tentativo di Ciriani di mettere le mani avanti, dal momento che proprio lui era stato assai criticato quando a fine aprile alla camera il governo aveva mancato il quorum necessario per approvare la variazione di bilancio, dal momento che erano sfuggiti in vacanza per il ponte un bel po’ di deputati.

La mail chiede ai ministri e sottosegretari due cose. La prima è quella di garantire «un’assidua e costante presenza nelle commissioni e nelle aule parlamentari». Fondamentale per far andare avanti i lavori – chi li segue sa con quanta frequenza capiti che si debbano fermare perché non c’è il rappresentante del governo – ma anche per mettere al riparo la maggioranza numerica, visto che un bel po’ di componenti del governo sono anche parlamentari. Gli uffici di Ciriani chiedono di ricevere settimanalmente «un prospetto il più completo possibile delle presenze in relazione alla discussione dei provvedimenti e degli atti di indirizzo e sindacato ispettivo». Questo prospetto, si aggiunge in modo perentorio, «è da ritenersi vincolante salvo casi di assoluta necessità». Inoltre la presidenza del Consiglio riceverà «su sua richiesta, un rapporto mensile in materia». Tutti in riga davanti alla presidente Meloni. Chi sgarra, si presume, pagherà.

Il secondo avvertimento che arriva ai ministri riguarda gli emendamenti. Un tema delicato, sollevato direttamente dal presidente della Repubblica che ha lanciato più moniti contro le modifiche in aula dei decreti legge, trasformati in provvedimenti omnibus. È proprio il caso del primo decreto sulla pubblica amministrazione, fermato dal lutto nazionale e in affannosa ripartenza da lunedì pomeriggio al senato. Certamente servirà un’ennesima fiducia, come già alla camera, perché scade il 21 giugno. Ed è il decreto al quale con un emendamento tardivo del governo sono state legate le mani della Corte dei Conti. Mossa certamente non apprezzata dal Quirinale: la pubblicità data ieri a questa mail può servire anche a far intendere al Colle che il governo vuole darci un taglio.
Anche perché nella mail si parla di una valutazione preventiva e centralizzata da parte di palazzo Chigi di tutti gli emendamenti non solo politica ma «anche sotto il profilo dell’ammissibilità», compito che spetterebbe ai presidenti di commissione e aula. Ma la preoccupazione prevalente è per il tempo che stringe: sei decreti già in pista e appena 30 giorni di lavori effettivi prima che il parlamento chiuda per ferie. Il capo di gabinetto avverte: «È intenzione del ministro individuare di volta in volta un termine per la presentazione degli emendamenti, compatibile con l’ordinato svolgimento dei lavori parlamentari». E i ministri non provino ad aggirare l’ostacolo, la nuova disciplina vale «anche per le proposte emendative veicolate tramite i gruppi parlamentari e i relatori». Palazzo Chigi vuole controllare tutto.