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Gop, otto candidati e un convitato di pietra

Gop, otto candidati e un  convitato di pietraIl dibattito tv con Asa Hutchinson, Chris Christie, Mike Pence, Ron DeSantis, Vivek Ramaswamy, Nikki Haley, Tim Scott e Doug Burgum – Ap

Stati uniti Primarie del Partito Repubblicano, il “frontrunner” diserta sia il confronto a Milwaukee che la diretta Fox. Ma sceglie di comparire in simultanea sul social di Elon Musk, (ex Twitter), con un’intervista esclusiva a Tucker Carslon, xenofobo e putinista

Pubblicato circa un anno faEdizione del 25 agosto 2023
Luca CeladaLOS ANGELES

I dibattiti televisivi sono riti canonici che lanciano ufficialmente la primarie presidenziali. Quello fra i candidati che contendono a Donald Trump la nomination è stato una rappresentazione largamente svuotata di significato dato il boicottaggio del “frontrunner” assoluto. L’ex presidente pluri incriminato si è comportato quasi da candidato “terzo”, disertando sia il confronto organizzato dal “proprio” partito che la diretta della rete Fox. Una dimostrazione del suo potere “imperiale” e, si sarebbe detto a Roma, autonomo da Senato e patriziato ma radicato nella plebe. Invece di dibattere, il populista di Mar a Lago ha deciso di comparire in simultanea sul social di Elon Musk, (ex Twitter), con un’intervista esclusiva a Tucker Carslon, il mezzobusto licenziato quest’anno dalla Fox in quanto troppo razzista, xenofobo e putinista perfino per Murdoch.

La legittima domanda è: cosa si configura un candidato predestinato che boicotta lo stesso partito che lo dovrebbe esprimere? La risposta non può che essere una disfunzione profonda del Gop che stenta tuttora a trovare un’identità operativa in grado di superare quella trumpista. Un paradosso evidente anche per come la maggior parte dei candidati che pretendono di sostituirlo sono stati nuovamente obbligati a professare fedeltà nei suoi confronti, per non suscitare l’ira funesta della base trumpista – una buona metà dell’elettorato repubblicano.

Lo show, con dovizia di fanfara e grafica animata, si è aperto con l’inno nazionale cantato in diretta dai candidati con cravatta rossa e vestiti scuri d’ordinanza per un effetto squadra, e primi piani sulle labiali, per controllare la conoscenza del testo. Come candidato più aggressivo è subito emerso Vivek Ramaswamy, figlio di immigrati indiani in Ohio e magnate dei farmaceutici che si pone come iperliberista di stampo Silicon Valley e successore generazionale di Trump. La sua premeditata strafottenza verso i “politici di mestiere” ha ben presto suscitato i contrattacchi dell’ex vice integralista religioso, Mike Pence, dell’antirumpista del New Jersey, Chris Christie, dell’ex ambasciatrice Onu Nikki Haley e del governatore italoamericano della Florida Ron DeSantis. Dalla bagarre ha tratto maggior profitto proprio Ramaswamy che fino alla viglia era scarsamente conosciuto.

Il dibattito ha toccato poi i cavalli di battaglia Gop, con i candidati che hanno fatto a gara a proclamarsi conservatori su immigrazione (sigillare il confine), aborto (istituire ulteriori divieti federali), Covid (mai più lockdown) e clima (emergenza fasulla). Sostanzialmente tutti d’accordo sull’escalation dello scontro con la Cina, mentre sull’Ucraina c’è stato divario fra i fautori del sostegno continuato a Zelesnky (Pence, Chsristie) e gli isolazionisti che sospenderebbero ogni assistenza (Ramaswamy e DeSantis).

Ma inevitabilmente il convitato di pietra a Milwaukee (la prossima estate la città del Wisconsin ospiterà anche la convention repubblicana), è rimasto Trump. E quando è stato chiesto chi avrebbe sostenuto la nomination di Trump anche se condannato in uno dei processi, sei su otto (alcuni con eloquente titubanza) hanno sollevato la mano, compreso Mike Pence che aveva ripetutamente rivendicato la scelta costituzionale di non sostenere il tentato golpe dell’ex capo.

Mentre gli otto candidati si contorcevano sul palco per cercare di attaccarlo senza alienare la base, Trump ha scorrazzato per la sua intervista con consueto stile di amabile tiranno e commentatore da bar. Nella chiacchiera di 45 minuti con Carslon, si è dilungato sula scarsa pressione dei rubinetti (apparentemente imputabile alla conversione ecologica della sinistra), la crociata marxista contro le cucine a gas, le magistrature («animali psicopatici») che lo perseguitano oltre al rodato repertorio di recriminazioni sulle elezioni «rubate» e la scarsa fedeltà dei suoi sottomessi all’epoca incapaci di eseguire gli ordini. Tutte affermazioni presumibilmente iscrivibili agli atti dei processi in corso, ma lo show è stato l’ennesima riprova che non è sul merito dei dibattimenti penali che Trump prevede di vincere.

«Crede che si vada verso una guerra civile?», ha chiesto Carlson. «I miei sostenitori hanno le stesse passioni forti evidenziate il 6 gennaio», ha replicato Trump con sibillina e velata minaccia. «Molto amore per la patria e molto odio per chi vuole nuocergli. È una miscela pericolosa».

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