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Google, l’Antitrust e il socialismo?

Google, l’Antitrust e il socialismo?

Piattaforme Il Dipartimento di Giustizia statunitense ha annunciato provvedimenti per contrastare il potere strabordante del colosso. Tra le opzioni politiche, contempla anche la possibilità di “spacchettare”: ossia, obbligare Google a vendere Chrome e Android ai concorrenti

Pubblicato circa 4 ore faEdizione del 10 ottobre 2024

Sarà Google l’occasione di una nuova via al socialismo? Il gigante del web gode, come è noto, di un mostruoso monopolio nel settore dei motori di ricerca. Nell’ultimo trimestre le entrate del ramo «Google Search» ammontano a 48 miliardi di dollari. Ossia il 57% dei ricavi totali di Alphabet, la holding a capo del colosso. Si tratta del 90% del mercato dei motori di ricerca.

Questa indiscussa posizione di dominio crea infinite ramificazioni, che non solo plasmano i meccanismi di produzione e consumo ma ormai condizionano persino gli olimpi della produzione scientifica. Il Nobel per la chimica appena assegnato a due scienziati che lavorano per Google è solo una prova fra tante.

Il Dipartimento di Giustizia statunitense ha annunciato provvedimenti per contrastare questo potere strabordante. Tra le opzioni politiche, contempla anche la possibilità di “spacchettare”: ossia, obbligare Google a vendere Chrome e Android ai concorrenti. La linea trova oggi ampio sostegno nelle realtà del populismo cosiddetto democratico, legatissime al principio di concorrenza tra una pluralità di capitali al fine di ridurre i prezzi e favorire i consumatori.

La risposta di Google è stata piuttosto rilassata. L’azienda ha valutato l’azione del Dipartimento degli Stati uniti come sintomo di velleitarismo. E i grandi media finanziari hanno commentato sostenendo che il governo resta affezionato a misure ormai inefficaci. In effetti, lo scetticismo verso questo revival antitrust non è infondato. Uno dei motivi è che se anche Chrome venisse venduto a un concorrente, Google potrebbe pagargli laute rendite per restare il motore di ricerca preminente, magari perché posto come strumento di “default” in modo da essere in ogni caso scelto dalla maggioranza dei consumatori. Come sosteneva John Kenneth Galbraith, la politica antitrust è uno strumento aggirabile e in fin dei conti inoffensivo.

C’è tuttavia un’altra possibilità, evocata timidamente dal Dipartimento Usa ma che trova consenso nelle realtà di movimento più avanzate e radicali. È l’ipotesi di obbligare Google a rendere pubblici tutti gli algoritmi dei suoi motori di ricerca. Questa opzione potrebbe avvenire tramite un ordine normativo oppure, più efficacemente, attraverso l’acquisizione pubblica diretta del comparto “Google Search”. In pratica, una collettivizzazione forzata dell’ammasso di conoscenza tecnica che si cela dietro la barra della ricerca che tutti noi usiamo ogni giorno sui nostri dispositivi.

Google e i grandi media di corte guardano a questa seconda opzione con puro terrore. La considerano una ipotesi di «comunismo tecno-scientifico» sconvolgente, che potrebbe effettivamente turbare la soverchiante concentrazione di potere dei colossi dell’alta tecnologia. A pensarci bene, sarebbe la via di una sperimentazione socialista all’altezza di questo nuovo tempo complesso.

Come prevedibile, l’amministrazione americana sembra orientata, nella migliore delle ipotesi, solo verso la prima opzione: cedere qualche pezzo del gigante a concorrenti minori, sperando così di rilanciare la concorrenza. I populisti esultano. E le speranze di un interessante esperimento socialista di frontiera vanno a farsi benedire.

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