Gli Usa «broker disonesto»: all’Onu fanno votare un accordo che non esiste
Patto di sangue Cessate il fuoco fantasma: mentre partecipa ai raid israeliani, Washington chiede ad Hamas di accettare un piano che Netanyahu ha già rigettato. Hamas: noi ci siamo. Bombardamenti israeliani a Khan Younis e Rafah. Unrwa: «Metà degli edifici è distrutto»
Patto di sangue Cessate il fuoco fantasma: mentre partecipa ai raid israeliani, Washington chiede ad Hamas di accettare un piano che Netanyahu ha già rigettato. Hamas: noi ci siamo. Bombardamenti israeliani a Khan Younis e Rafah. Unrwa: «Metà degli edifici è distrutto»
Antony Blinken è atterrato ieri a Tel Aviv per la ottava volta dal 7 ottobre che ancora rimbombava l’eco del comunicato del dipartimento di stato dell’8 giugno. In poche righe il segretario si felicitava per la liberazione di quattro ostaggi israeliani senza fare menzione del prezzo pagato dai palestinesi, 274 uccisi e 700 feriti.
L’altra eco era quella che ieri vagava per i corridoi del Pentagono: il ruolo giocato dagli Stati uniti nell’operazione e rivendicato da Washington. Che però smentisce le fonti interne: il supporto statunitense all’esercito israeliano avrebbe avuto con fulcro il molo temporaneo destinato agli aiuti umanitari per la popolazione di Gaza.
GLI STATI UNITI si confermano quel «broker disonesto» descritto nel 2003 in un libro da Naseer Aruri, professore palestinese-statunitense, per tre volte membro del board di Amnesty e di Human Rights Watch. Aruri, dieci anni dopo gli accordi di Oslo, spiegava bene come gli Stati uniti avessero sempre inteso il processo di pace come fine e non come mezzo: un negoziato senza data di scadenza che non conduce mai a una soluzione politica.
La partecipazione degli Usa alla carneficina a Nuseirat mentre premono per il cessate il fuoco è solo l’ultimo esempio. Ieri sera Blinken ha incontrato Netanyahu, mai amato dall’amministrazione Biden, ora orfana di Gantz, la faccia «moderata» a fronte di un esecutivo di estrema destra messianica, ma anche lui oppositore di una soluzione che preveda l’autodeterminazione palestinese.
L’incontro è avvenuto mentre al Consiglio di Sicurezza si votava la risoluzione Usa sul cessate il fuoco, prima sviscerata da Blinken al Cairo con il presidente al-Sisi: tre fasi, con la seconda che prevedrebbe la fine permanente delle ostilità e il ritiro israeliano da Gaza. La mozione passa 14 a 0, la Russia si astiene senza porre il veto.
Da New York e dal Cairo gli Stati uniti accusano Hamas di essere l’unico ostacolo al via libera all’accordo. Hamas da parte sua dice di accogliere positivamente la risoluzione e risponde con le note richieste, apparentemente coincidenti: nessun accordo senza cessate il fuoco permanente e ritiro israeliano da Gaza, i due punti su cui però Israele non intende fare passi indietro.
Lo conferma il vice ambasciatore statunitense all’Onu Robert Wood: Israele dice sì allo «stop temporaneo dei combattimenti». E lo conferma lo stesso Netanyahu: ieri, smentendo il piano reso pubblico da Channel 12, ha ribadito che la guerra non finirà fino alla distruzione di Hamas. Giri a vuoto, Gaza ha bisogno della fine immediata dell’offensiva israeliana e di qualcuno che costringa Israele a fermare l’abuso quotidiano del diritto internazionale.
GLI USA LO SANNO come sanno che il Netanyahu della guerra a oltranza non ha mai considerato gli ostaggi una priorità: non a caso ieri montavano le indiscrezioni su un filo diretto tra Casa bianca e Hamas per liberare i cinque ostaggi con cittadinanza Usa. Il movimento islamico palestinese tiene, nonostante le note fratture tra ala politica e ala militare e tra leadership all’estero e quella gazawi.
Le Brigate al-Qassam mantengono un ruolo centrale, anche grazie alla capacità di riorganizzarsi, operando ormai come una guerriglia. Ieri hanno detto di aver fatto saltare un intero edificio a Rafah, diventato base a unità dell’esercito israeliano, uccidendo un numero imprecisato di soldati. I feriti sarebbero stati evacuati da Gaza con degli elicotteri.
Per la popolazione continua a valere la legge del più forte. Sul fronte degli aiuti, la crisi è senza confini: il valico di Rafah è chiuso dal 6 maggio perché occupato dall’esercito israeliano e ieri l’Onu ha sospeso le attività del World Food Programme dal molo statunitense a causa dei continui attacchi israeliani. A Rafah almeno cinque uccisi in un bombardamento, a Khan Younis otto nel raid che ha centrato la casa della famiglia Kwarea, vicino all’European Hospital. Sono 40 i palestinesi uccisi nelle ultime 24 ore, 37.124 in 8 mesi (a cui si aggiungono almeno 10mila dispersi).
Oltre metà degli edifici di Gaza è distrutta, scriveva ieri l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi Unrwa: «È indescrivibile. Ripulire le macerie richiederà anni. Guarire dal trauma psicologico di questa guerra richiederà ancora più tempo».
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