Gli Ultrasuonati
JAZZ ITALIA
Il talento
inquieto
In quella terra fertile della musica dove sfumano i contorni tra memoria del suono orale, ricerca, jazz e approcci personali si inserisce perfettamente l’opera di un talento inquieto come Carlo Maver. Suona il bandoneon, i flauti classici e andini, è stato allievo del gigante del mantice Dino Saluzzi, ma nel nuovo Solenne (Visage) non troverete solo riferimenti latini. Maver è un viaggiatore instancabile anche tra Asia e Africa e qui ne trovate tracce nelle composizioni sontuose in solo, ospiti Paolo Fresu e il suonatore di violino verticale iraniano kamanche, Hesam Inanlou. Remedio è un ottimo trio con voce, corde, contrabbasso e ospite alla fisarmonica Sergio Marchesini che guarda all’America Latina, da Yupanqui a Violeta Parra, per intendersi, con affondi più moderni: sempre con un calore appassionante, in Semillas (Gutemberg Music). Dal vivo in studio il vertiginoso Baìa Trio, musicisti navigati, con Sono (KRS/Egea), un viaggio di note per la danza e non solo dalle culture provenzali e occitane alpine con suoni aspri, quasi spiritati: tonificanti. (Guido Festinese)
ALTERNATIVE
Una dedica
alla luna
È da un po’ che non si sentono i Neurosis, band seminale della scena sludge/post metal, e sono almeno sette anni che anche uno dei membri di spicco della formazione californiana, Steve Von Till, non dava segni di vita artistica. Almeno fino ad oggi, perché ha da poco pubblicato il nuovo lavoro con l’alias Harvestman: Tryptich Part One (Neurot). È la prima delle tre uscite previste per quest’anno dedicate a tre fasi di luna piena. Di metal non c’è ombra, si va più verso una sorta di ambient rock che a tratti ricorda Gone to Earth di David Sylvian. Dalle parti di Londra opera il duo italo-inglese Sons of Vijems che con il loro Litospheric Melodies (Disaster By Choice) propongono un mix di sonorità che vanno dalla psichedelia al nu jazz al post rock e molta altra carne nel mezzo. John Carpenter è noto, oltre che per i suoi film, anche per essere musicista e compositore. Come dimostra il progetto arrivato al quarto capitolo, Lost Themes IV: Noir (Sacred Bones/Goodfellas), in compagnia del figlio Cody e di Daniel Davies. Chitarre pesanti e synth sono il punto focale, ma non mancano piano e orchestrazioni cinematografiche. (Roberto Peciola)
BLUES
Sensazioni
acustiche
Acustica passione. Rientro di spessore per la brava Sue Foley che presenta un lavoro in solitaria come comprensibile dal titolo One Guitar Woman (A Tribute to the Female Pioneers of Guitar) (Stony Plan). È una versione di lei che ne fa davvero apprezzare tanto la voce quanto un chitarrismo preciso ed emozionante. Per sviluppare tale idea propone dodici brani che arrivano dalla scrittura di icone come Geeshie Wiley, Elizabeth Cotten, Lydia Mendoza e Sister Rosetta Tharpe. Un plausoalla blueswoman, in particolare grazie a Lonesome Homesick Blues, Freight Train, Last Kind Word Blues e Mal hombre. Avanti con Sean Riley & The Water in Stone Cold Hands (Pugnacious): il chitarrista residente a New Orleans incide dieci brani intensi dove viene assistito da una manciata di eroi locali, tra cui Dean Zucchero al basso e alla produzione e Bruce «Sunpie» Barnes ad armonica e accordion. Emergono Truck Route Blues e Rosies Rag. Allegro è anche Side Hustle (Toneblanket Records) della One Dime Band di Boston e New England. Bravi in Blackfoot Sun e Dr. Shine. (Gianluca Diana)
TRIBUTI
Cantare
il jazz
La classic song americana, che trova il massimo fulgore tra gli anni Trenta e Cinquanta del XX secolo, continua imperterrita a essere cantata dai musicisti delle ultime generazioni come traspare in The Good Life (Tinatunes) di Tina Schlieske, cantautrice rock che adesso omaggia il vocal jazz in sestetto, da Billie Holiday a Nina Simone, mediante otto celebri brani in vigorose rivisitazioni. Ben 16 song, talvolta brevissime, sono al centro di Oh! My Love Again (Le Gros Cube) a nome Le Mirifique Orchestre, dove motivi del vecchio pop internazionale si mescolano agli arrangiamenti e agli originali del condirettore polistrumentista Alban Darche (assieme a Emmanuel Bénèche) in un ensemble quasi bandistico a giocare amabilmente con lo swing. Infine Journey in Black (Autoprodotto) di Christie Dashell è davvero un viaggio (completo) nella musica afroamericana, con solo due classici, mentre gli altri brani sono «nello stile di» attraverso scatti improvvisi e vocalizzi estremi, talvolta vicini al free jazz, senza però vanificare gli assunti della forma-canzone. (Guido Michelone)
LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico
ALT ROCK
New York
chiama Londra
DRAHLA
ANGELTAPE (Captured Tracks/Goodfellas)
**** Il sax iniziale ci riporta inevitabilmente ai Morphine ma l’immagine dura giusto un minuto perché poi il registro della band di Leeds cambia e si va verso la fine degli anni Settanta dalle parti di New York, e poi di nuovo in Inghilterra a cavallo tra i Seventies e gli Eighties, e poi più avanti si torna nella Big Apple dei Sonic Youth. Insomma, no wave e indie rock con quel tanto di post punk e sperimentazione che non guastano, si incontrano in un felice connubio. Una band da tenere d’occhio, e da vedere live stasera a Bologna e domani a Montecosaro, in provincia di Macerata. (roberto peciola)
POP
Analogie
Sixties
THE LEMON TWIGS
A DREAM IS ALL WE KNOW (Captured Tracks/ Goodfellas)
**** Beach Boys, Beatles e tutta quella serie di band che hanno reso il pop e il beat anni Sessanta memorabile li potete trovare in questo disco. No, non stiamo parlando di una raccolta di «artisti vari», ma del nuovo album dei Lemon Twigs, band di Long Island, New York, formata dai fratelli Brian e Michael D’Addario. Il fatto poi che il disco sia stato registrato con attrezzature analogiche di quella decade e della successiva fa sì che il suono risulti intriso di quelle atmosfere, ben definite poi dalle divertenti melodie e dai cori e armonizzazioni dei due. (roberto peciola)
MOD REVIVAL
Favolosi
ingredienti
THE PRISONERS
MORNING STAR (Own Up Records)
***** I Prisoners furono precursori del Brit pop, con un sound che, partendo dagli Small Faces, mischiava garage, beat, psichedelia e l’energia del pub rock. Dopo lo scioglimento James Taylor fece successo con il suo Quartet e Graham Day si spese in decine di dischi con altrettanti gruppi. L’inaspettata reunion, dopo trent’anni di silenzio, ripropone gli stessi favolosi ingredienti e una band ancora fresca, pulsante, creativa, con quattordici brani nuovi, dalla grande carica e personalità. Eccezionali, ben tornati! (antonio bacciocchi)
ALTERNATIVE/2
Oscillando
tra buio e luce
CHARLIE RISSO
ALIVE (T3 Records)
**** Oscillando tra buio e luce, si possono intercettare tante storie capaci di trasfigurare la realtà in sogno e viceversa. L’autrice di origini genovesi vi riesce con apparente naturalezza, come si avverte dalle atmosfere che si incontrano in queste dieci canzoni. Esemplare in tal senso è la presenza di Hugo Race, che in The Wolf appare come il compagno di viaggio ottimale per una intrigante ballata gotica. In Time sembra aver perso la strada in un bosco dalle parti di Canterbury, Burning the Ashes lambisce la frontiera tex-mex, mentre By the Lake è il brano che riassumere al meglio il disco. (gianluca diana)
JAZZ ITALIA/2
Una tensione
comunicativa
STEFANO ZENI
AVALON SONGS (Caligola)
**** Chi, dal titolo, immagini di doversi instradare con questo disco per lande brumose e tenzoni tra cavalieri in armatura, con corrispettivo musicale di arpe celtiche e flauti, è fuori strada. Qui si confrontano il violino spericolato di Stefano Zeni, figlio in egual misura di Stuff Smith, di Leroy Jenkins, di Jean-Luc Ponty, e il sax baritono abissale e swingante assieme di Bruno Marini, due estremi timbrici in dialogo. Con una ritmica a dir poco puntuale, e una ripresa sonora «live in studio» che comunica intelligente tensione comunicativa e interplay perfetto. (guido festinese)
BLACK LIVES
PEOPLE OF EARTH (Jammin Colors)
*** Dopo From Generation to Generation (2022) ecco il secondo album del collettivo di 25 musicisti provenienti da Stati Uniti, continente africano e isole caraibiche: 15 brani con organici variabili a espandere un linguaggio sonoro poliedrico, in grado di spaziare dal rap al jazz, dal funky al soul, dal r&b al pop. I testi presentano maggiore coesione in quanto hanno quale unico tema (e proposito) la rivendicazione dei diritti civili e la lotta contro i pregiudizi razziali. (guido michelone)
FUSAIFUSA
LAMANA (Lokomotiv Records)
*** Primo lavoro per questo trio nato a Bologna e composto da tunisini e curdo-siriani. Generano una patchanka che attinge da suoni mediorientali e maghrebini, dove stralci electro completano la tessitura musicale. Alcuni passaggi rammentano i suoni dell’Upper East del Ghana, come ad esempio la riuscita title-track, al cui interno si affacciano anche reminiscenze sahariane. (gianluca diana)
GIYA KANCHELI
A LITTLE DANELIADE (Capriccio/Ducale)
***** Giya Kancheli rappresenta una delle massime espressioni della scrittura contemporanea. Scomparso nel 2019, ha lasciato un senso intenso della sua opera come dimostra questo album diretto e suonato da Elisaveta Blumina a capo della Robert Schumann Philarmonie. Un excursus della sua incredibile produzione che trova in quattro opere una sintesi della idea profonda di suono. (marco ranaldi)
MUNA MUSSIE/MASSIMO CAROZZI
CURVA CIECA OBLIO (Xong Collection)
**** Un’artista «totale» eritrea con base a Bologna, Muna Mussie, un musicista e sound designer, Massimo Carozzi, assieme per costruire un soundscape doloroso e necessario in lp bianco numerato in cui si incrociano una lacerata scomposizione di un tronfio testo intriso di nazionalistico livore colonialistico italiota (Cieca), un episodio ritmico quasi trance (Curva) campionato su musica tigrina e un coro copto, basso e chitarra, una lunga porzione (Oblio) con canto armonico, iterazioni, rituale in libero rimontaggio. Una saggia avventura. (guido festinese)
MATTEO PAGGI
WORDS (Aut Records)
**** Non ancora trentenne, il trombonista Paggi ha all’attivo un curriculum di notevole interesse (è tra l’altro nei Fearless Five di Rava) e in quella terra di nessuno dove le istanze contemporanee incontrano le più ardimentose ricerche timbriche e strutturali della New Thing che fu. In questa session trova il frutto del suo progetto-laboratorio a organico variabile dove elementi di «conduction» convivono con pedali e ostinati ritmici: con flauto, violini, il basso mingusiano di Anja Gottberg. (guido festinese)
XAVIER RICHARDEAU
A CARIBBEAN THING (Continuo Jazz)
*** Il sax francese (soprano e baritono) dopo esperienze musicali a Parigi e New York, sceglie l’isola di Guadalupa (Antille) quale residenza e fonte ispirativa: ne nasce un album di latin jazz per sestetto con un altro sax (tenore) e ritmica quadripartita e con l’enfasi afrocubana dal taglio romantico dove a parte una struggente cover di Sous le ciel de Paris (cavallo di battaglia di Juliette Gréco) prevale il suono «caliente». (guido michelone)
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