Gli smemorati «disinformati» dei programmi elettorali
È comprensibile che vi siano argomenti ritenuti di maggiore cogenza, a cominciare – nei testi dell’area variamente progressista- dai rischi di un’involuzione autoritaria sotto le sembianze del presidenzialismo, nonché dal dramma del lavoro che non c’è. Cui si aggiunge la situazione tragica per l’eco-sostenibilità del pianeta. E la pace, mai prima notizia.
Il testo «Per l’Italia. Accordo quadro di programma per un governo di centrodestra» esordisce con gli squilli di tromba atlantisti uniti alla grida contro l’immigrazione e, naturalmente, con una bella spruzzata di sogni dirigisti.
Tuttavia, risulta ben curioso che la vera e propria ubriacatura digitale di cui è impregnato il celebrato piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) si sia così prontamente annacquata. Quella parola magica aveva più o meno le stesse citazioni di Cristo nel Vangelo di Matteo e sembrava aver assunto le sembianze di una moda e di un tormentone.
E ora? Brevi cenni, talmente succinti e fuori contesto da far pensare più alla stesura di un compitino che alla delineazione di una strategia.
Se per le destre si tratta di immaginare infrastrutture, per le anime del centrosinistra (terminologia ormai impropria, utile tuttavia nella sintesi) il capitolo cruciale – non di un settore, bensì del capitalismo attuale – diviene un comparto succedaneo alle attività culturali, alla scuola o al turismo. Come se fossimo al cospetto non già di un rivolgimento dei flussi del valore e dei paradigmi produttivi, ma ad una semplice articolazione del discorso.
Per dirla in breve, insomma, siamo ancora nell’età analogica con qualche aggiunta modernista.
Ci si poteva aspettare che nella campagna elettorale destinata a incidere sulle vicende politiche e pure sul corpo a corpo con algoritmi, robot e intelligenza artificiale ( IA) si prendesse il toro per le corna e ci si cimentasse sulla nuova sintassi dei conflitti: chi controlla l’enorme flusso dei dati, come si negoziano gli algoritmi, i limiti da porre al ricorso crescente all’IA e alla sorveglianza di massa, la cybersicurezza. In tale contesto vanno rilette le antiche questioni della rete unica delle telecomunicazioni e del servizio pubblico radiotelevisivo, sequenze di un discorso generale e non obiettivi isolati e perciò perdenti nell’era liberista. noltre, ci sono grumi inquietanti da affrontare, come l’utilizzo delle querele temerarie per censurare preventivamente articoli e servizi non allineati e la lotta al precariato giornalistico diventato la regola e non l’eccezione.
Non solo. Manca un allarme contro le crescenti minacce alle croniste e ai cronisti che osano mettere il naso negli affari sporchi della criminalità e negli intrecci perversi con il potere politico. Un nome, per tutti, Julian Assange, che rischia concretamente di essere estradato negli Stati Uniti per avere svelato i misfatti dele guerre in Iraq e in Afghanistan e di venire condannato a 175 anni di carcere. E di Jukian Assange, neppure per sbaglio, non si trova proprio traccia nei vari documenti.
La carta stampata sta crollando e la lettura dei libri segue la sorte delle relazioni sociali: una minoranza legge e una quota assai vasta di persone non tocca neppure un volume all’anno. La televisione spazzatura fa ancora ascolti e proseliti, in assenza di proposte alternative.
Non sarà un caso se l’Italia è piombata al 58° posto per tasso di libertà di informazione nella classifica stilata da Word Press Freedom Index (negli ultimi due anni era quarantunesima) e se mancano adeguate normative contro i trust e gli oligarchi della rete, vere proprie meta-nazioni.
L’eterno ritorno di Silvio Berlusconi e i pericoli presidenzialisti riaprono la ferita del conflitto di interessi. La legge dell’ex ministro Frattini oggi in vigore è debolissima e stupisce che un capitolo decisivo per il tessuto democratico sia finito nel dimenticatoio.
L’associazione Articolo21 ha aperto un forum sul suo sito per dibattere di tali argomenti e numerosi contributi sono arrivati. Mancano, però, i segretari dei partiti in campo, cui è indispensabile chiedere pronunciamenti non effimeri o di circostanza.
Non si possono scindere, dunque, le facce del lavoro culturale, della scuola e della società dell’informazione. C’è un unico filo conduttore, vale a dire il riconoscimento della cittadinanza digitale, che non è un atto formale.
Si deve scegliere se considerare le persone sudditi ignoranti o consapevoli protagonisti del futuro. Ed è proprio l’esercizio del diritto a comunicare che può fare la differenza.
Sappiamo che da sinistra si pensa a promuovere iniziative e confronti. Il tempo corre veloce e il 25 settembre incombe. I media sono un universo al momento deluso e in attesa.
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