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«Gli omicidi dei leader non indeboliscono Hamas. Così Tel Aviv fa saltare il dialogo»

Saleh AruriSaleh Aruri

Israele/Palestina Intervista alla giornalista Paola Caridi dopo l'uccisione mirata di Saleh Aruri: «Nel 2004 gli israeliani uccisero due fondatori, poco dopo il movimento vinse le elezioni. L'unico risultato che si ottiene è il congelamento della trattativa sul cessate il fuoco»

Pubblicato 9 mesi faEdizione del 4 gennaio 2024

«Di fronte a un omicidio mirato così importante, tendiamo a pensare a come incida sulla tenuta di un movimento clandestino. Ma quel movimento mette nel conto l’uccisione dei suoi capi. E la storia di Hamas mostra come questa strategia abbia funzionato ben poco». Così Paola Caridi, giornalista e fondatrice di Lettera22, commenta l’omicidio extragiudiziale di Saleh Aruri, martedì a Beirut. A novembre è uscita per Feltrinelli la nuova edizione del suo libro Hamas. Dalla resistenza al regime.

Che significato ha per Hamas l’assassinio di Aruri in piena guerra? Numero 2, protagonista in passato e oggi della mediazione per lo scambio di prigionieri ma anche del dialogo con l’Autorità palestinese.

I movimenti clandestini hanno una dirigenza orizzontale. Non è la prima volta che Hamas perde un altissimo dirigente con un omicidio extragiudiziale. È una nota strategia israeliana tagliare la testa del serpente, parte nel 1996 con l’uccisione di Yahya Ayyash. Ma non ha mai avuto un grande successo: persino l’uccisione doppia di due fondatori di Hamas nel giro di un mese, Sheikh Yassin nel marzo 2004 e al-Rantini ad aprile, non ha indebolito il movimento. Di certo Aruri era una personalità importante, in questi anni in ascesa: non era solo uno dei fondatori delle Brigate al-Qassam, ma è stato l’uomo di molte trattative interne palestinesi. Il tentativo, forse tra i più riusciti, di preparare le elezioni politiche e presidenziali che si sarebbero dovute svolgere nel 2021 era stato il frutto di un negoziato tra Aruri e Jibril Rajoub. Ma era anche l’uomo di vari scambi di ostaggi, come nel 2011, il soldato Gilad Shalit per 1.027 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Inoltre, secondo quanto scoperto da Georges Malbrunot nell’inchiesta pubblicata da Le Figaro pochi giorni fa, sembra che Aruri fosse l’unico ad aver saputo, mezz’ora prima, dell’attacco del 7 ottobre dallo stesso Sinwar. Da questo emerge il legame tra la dirigenza di Gaza al potere e il Politburo.

Stupisce che Aruri, e dunque il politburo di Hamas, abbia saputo dell’attacco poco prima che venisse realizzato.

È la storia di Hamas: le al-Qassam non dicono all’ala politica i termini precisi di un’operazione. L’inchiesta lo spiega bene: Sinwar aveva interrotto i rapporti anche telefonici con pezzi del politburo. Mi sembra verosimile, per la necessità di segretezza delle operazioni militari di terrorismo. È successo anche in precedenza.

Dunque Israele cosa ottiene?

Il risultato è che la trattativa salta. Come successo con l’uccisione di Salah Shahade, il leader delle al-Qassam, nel 2002: fu assassinato il giorno prima della firma dell’accordo che avrebbe segnato una tregua negli attentati suicidi nella seconda Intifada. Morirono altre 15 persone, un centinaio ferite. E significò la fine della trattativa. Lo stesso adesso, con la trattativa in corso sul cessate il fuoco, gli egiziani tessevano la trama da settimane. Se non chiude la trattativa, l’uccisione di Aruri la congela. E congelare la trattativa significa moltissimo perché il fattore determinante è il poco tempo a disposizione. Se congeli una trattativa, tenti di influire pesantemente su quello che succederà nelle prossime settimane. Con l’uccisione del generale iraniano in Siria, quella di Aruri e l’attentato di ieri in Iran, il conflitto si sposta verso una dinamica regionale. Non è più Gaza, è la regione, è l’Iran. Netanyahu vuole spostare completamente l’attenzione da Gaza e dalla Corte suprema verso l’allargamento del conflitto che gli consentirà di rimanere in sella. Parliamo di una cesura della storia, un nuovo capitolo della questione israelo-palestinese, una Nakba 2023. Sono saltati molti paradigmi.

Che effetto hanno tali omicidi in termini di consenso verso Hamas tra i palestinesi?

È sempre successo che l’uccisione di leader di Hamas abbia fatto crescere il consenso. Tra il 2002 e il 2004, vengono uccisi alcuni tra gli esponenti più importanti, non solo falchi. Nel 2004 due dei fondatori. Un anno dopo Hamas vince sia le elezioni municipali che le politiche. Eppure Israele aveva eliminato alcune delle figure fondamentali dal punto di vista militare, politico e spirituale. Aveva decapitato il vertice. Sul fronte del consenso interno non ottiene nessun risultato. Quindi qual è l’obiettivo? Da una parte Israele vuole allargare il conflitto, non solo perché ha ucciso il vice del politburo ma perché l’ha ucciso a Beirut. Non è la prima volta che Israele ci prova, tentò alla fine del 2009 a eliminare Osama Hamdan nello stesso quartiere di Beirut, senza riuscirci. Non ha colpito Hamdan, ha colpito Hezbollah. Dall’altra Israele tenta di avere una vittoria di facciata perché a Gaza non sta andando bene.

E in termini di radicalizzazione della leadership?

Si era già radicalizzata per effetto dei 16 anni di chiusura di Gaza. Sigillare Gaza ha reso le Brigate al-Qassam un elemento fondamentale, sia in termini politici che militari, di questa anormale amministrazione della prigione più grande del mondo. La loro valenza politica è conclamata, io la chiamo una sorta di costituente-ombra. Ora quello che può accadere è una maggiore radicalizzazione in Cisgiordania. Non per l’uccisione di Aruri ma per i raid sempre più pesanti dell’esercito israeliano e l’uccisione di quasi 400 persone dal 7 ottobre, 500 in tutto l’anno.

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