Gli effetti recessivi della «manovra espansiva»
Bankitalia Un arretramento significativo della nostra economia nel breve periodo, rischia di mandare all’aria i piani del governo sulla tenuta dei conti pubblici, con la conseguenza che, tra qualche mese, Bruxelles possa tornare alla carica per invocare una manovra correttiva, pena la riapertura del fascicolo relativo alla procedura di infrazione per debito eccessivo, momentaneamente riposto nel cassetto
Bankitalia Un arretramento significativo della nostra economia nel breve periodo, rischia di mandare all’aria i piani del governo sulla tenuta dei conti pubblici, con la conseguenza che, tra qualche mese, Bruxelles possa tornare alla carica per invocare una manovra correttiva, pena la riapertura del fascicolo relativo alla procedura di infrazione per debito eccessivo, momentaneamente riposto nel cassetto
La manovra del governo può aiutare la crescita o rischia di assecondare la recessione? Dopo le stime fornite da Bankitalia nel suo ultimo Bollettino, questa domanda diventa ancora più pertinente.
Previsioni infauste. Probabile «recessione tecnica» per il 2018 (la conferma però arriverà a fine gennaio), crescita di poco superiore al mezzo punto percentuale nel 2019. Le cause? Oltre ai fattori internazionali, «il calo della domanda interna, in particolare degli investimenti, e in misura minore della spesa delle famiglie».
Un arretramento significativo della nostra economia nel breve periodo, che rischia di mandare all’aria i piani del governo sulla tenuta dei conti pubblici, con la conseguenza che, tra qualche mese, Bruxelles possa tornare alla carica per invocare una manovra correttiva, pena la riapertura del fascicolo relativo alla procedura di infrazione per debito eccessivo, momentaneamente riposto nel cassetto.
D’altra parte, è una questione di semplice aritmetica. Se quest’anno la crescita non sarà almeno pari all’1% (target concordato con i commissari europei), bisognerà rivedere, a cascata, tutti i target di finanza pubblica fissati nella manovra. A cominciare dall’ormai noto 2,04% di deficit sul prodotto lordo.
Parametri stupidi, certo, una gabbia che deprime l’economia e accentua le disuguaglianze, ma non sembra che il governo abbia tanta voglia di disattenderli.
Lo scenario, perciò, si preannuncia da brivido, visto che a dicembre, con la prossima legge di bilancio, sarà necessario sterilizzare anche una clausola di salvaguardia da 23 miliardi di euro (52 miliardi nel biennio). Il classico cane che si morde la coda. Mentre l’economa arretra, bisognerà decidere se una cifra così ingente sarà messa a carico del bilancio dello Stato (meno spesa pubblica), oppure delle tasche dei cittadini (aumento dell’Iva al 25%).
In entrambi i casi, l’esito prociclico è assicurato. Non ci vuole molto a capire che un salasso di queste dimensioni, unito alle conseguenze di un’eventuale manovra di aggiustamento, finirebbe per annullare gli effetti positivi del reddito di cittadinanza sulla domanda aggregata.
In economia non c’è niente di «scientifico», salvo la scienza applicata all’economia. Nondimeno, è plausibile, stando all’evidenza empirica, che una diminuzione della spesa pubblica di un punto e mezzo di Pil (più o meno il valore della clausola di salvaguardia per il 2020) possa produrre una caduta più o meno equivalente di quest’ultimo. A fronte di un moltiplicatore del reddito di cittadinanza che la stessa Bankitalia stima pari a 0,5, ma solo dopo tre anni.
Eppure, il quadro tendenziale dell’economia mondiale e di quella italiana avrebbe dovuto suggerire al governo un diverso approccio al tema della crescita.
Posto che le specifiche condizioni del Paese e i vincoli europei non consentivano un’espansione del bilancio oltre certi limiti, sarebbe stato opportuno concentrare l’attenzione su capitoli di spesa ad alto moltiplicatore, come gli investimenti in settori strategici ed innovativi, e su una più equa distribuzione del carico fiscale, anziché su una riduzione delle tasse ad alcune categorie professionali e sulla concomitante adozione di misure sulle pensioni e sull’assistenza.
Col rischio, peraltro, che alcuni di questi provvedimenti, a cominciare proprio dal reddito di cittadinanza, potrebbero non avere le coperture negli anni successivi. Anche perché, come sempre accade nei periodi di stagnazione o recessione, una maggiore fetta del bilancio statale verrà necessariamente assorbita dai cosiddetti «stabilizzatori automatici» (cassa integrazione, sussidi di disoccupazione, ecc.). E’ fisiologico, non dipende dalla volontà dei governi.
Recessione, stabilizzatori automatici, aumento del deficit, peggioramento del rapporto debito/pil. Come la prenderanno i mercati?
Un po’ di anni fa, James Carville, uno degli strateghi della campagna elettorale di Bill Clinton, ebbe a dire: «Un tempo credevo che, se fosse possibile, mi sarebbe piaciuto reincarnarmi nel presidente, nel papa o in un campione di baseball. Ma adesso vorrei reincarnarmi nel mercato obbligazionario. Lì puoi mettere paura a chiunque».
Ecco, non è sbagliato pensare che nei prossimi mesi a dettare l’agenda del governo siano proprio i mercati. O forse no. Per Di Maio, il boom economico è dietro l’angolo
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