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Gli anni che spianarono San Lorenzo

Gli anni che spianarono San Lorenzo

Città Mentre al posto del Nuovo Cinema Palazzo rischia di nascere l’ennesimo locale, un volume a più voci spiega come la gentrification ha sconvolto l’ex quartiere rosso di Roma

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 14 ottobre 2023

Tra un mese saranno tre anni che la saracinesca del Nuovo Cinema Palazzo, nel quartiere romano di San Lorenzo, è abbassata. Quel varco che conduceva allo spazio sociale era stata per dieci anni una finestra aperta su Piazza dei Sanniti. Da quando decine di attivisti, artisti e abitanti del quartiere avevano occupato il posto per impedire che venisse trasformato in una sala bingo. La novità è che nelle ultime due settimane, e con quelle saracinesche ancora abbassate, nei locali della storica sala cinematografica si ascoltano di nuovo rumori e voci. Sono quelle dei nuovi inquilini, che hanno affittato lo spazio (si parla di un affitto di circa diecimila euro al mese) per farvi un locale, l’ennesimo di San Lorenzo. Alla chetichella, come se avessero qualcosa da nascondere, stanno facendo lavori di ristrutturazione. Gli ex occupanti hanno lanciato l’allarme su un progetto «che accelera il saccheggio del quartiere e ignora i desideri e i bisogni di chi lo abita, che ristabilisce il flusso unidirezionale della proposta culturale e di spettacolo, che non si cura delle relazioni di prossimità e che si fa beffe dell’accessibilità, raschiando il fondo del barile di un quartiere prosciugato dalle logiche estrattive del divertimento canalizzato di massa».

LA VORAGINE che si apre sotto il Nuovo Cinema Palazzo rischia di essere la stessa che ha inghiottito San Lorenzo negli ultimi venti anni. È una vicenda che va oltre la dimensione locale, perché la recente storia sociale e urbanistica del quartiere romano che un tempo era considerato una roccaforte rossa è una rappresentazione iperbolica delle trasformazioni urbane contemporanee. Il quartiere di operai e ferrovieri alle porte delle mura storiche della capitale, lavoratori dell’indotto del cimitero e del trasporto pubblico, poi era divenuto la casa dei movimenti sociali e delle sinistre è stato un laboratorio della gentrificazione. Di più: è diventato il luogo in cui misurare processi (e sconfitte) che drammaticamente sono già avvenuti. Tanto che DeriveApprodi ha da poco dato alle stampe un saggio a più voci intitolato eloquentemente Dopo la gentrificazione. Gli autori (urbanisti, sociologi, ricercatori, giornalisti, attivisti) si pongono giustamente dal punto di vista di chi osserva l’area che va dalle mura storiche di Roma fino al Verano e allo scalo San Lorenzo dopo che la tempesta speculativa e la ristrutturazione urbana sono già arrivate, spesso spazzando via quel che c’era e lasciando strade più buie, meno vissute e vivaci. Sembra insomma di leggere un giallo di quelli in cui si conosce già l’assassino, ma la trama sifa appassionante nel rivelare il modo in cui il delitto si è compiuto e le indagini per scoprire il colpevole si sono dipanate.

LA SITUAZIONE attuale del quartiere ha le sue specificità ma assomiglia a quella che sta desertificando tutto il centro storico di Roma: affitti a breve termine e turismo liquido da Air b’n’b. Tutto ciò arriva dopo gli anni in cui a San Lorenzo si era sperimentata una delicatissima eppure preziosa forma di vita in comune ad opera di una composizione sociale variegata: gli abitanti storici di estrazione proletaria, gli studenti fuorisede, i professionisti in cerca di una zona stimolante, le sperimentazioni culturali e la radicalità del tessuto politico. Chiunque all’epoca abbia attraversato quelle strade anche solo per pochi giorni assocerà questa fase (sviluppatasi alla fine del secolo scorso) a uno spazio sociale, a un negozio di dischi o una libreria, a una delle prime birrerie o a una piazza in cui incontrarsi liberamente. Molti penseranno a tutto questo insieme, al modo in cui queste diversità fragili e preziose interagivano senza soluzione di continuità. Poi è accaduto che la violenza della speculazione immobiliare, l’invasione dei capitali criminali del mercato della droga e della sua manovalanza, lo sviluppo incontrollato del settore commerciale hanno messo a valore e al tempo stesso cancellato ogni forma di vita autonoma dal profitto: la gentification si nutre dei tratti della cultura popolare, cose che creano appeal immobiliare, ma vendendoli li distrugge.

PER GLI AUTORI la pandemia è stata un momento di passaggio, fase apicale della desertificazione del quartiere causata. Ma prima di essa i segnali piccoli e grandi andavano moltiplicandosi: lo sgombero del Nuovo Cinema Palazzo, da questo punti di vista, è stato solo l’ultimo evento. C’erano stati l’utilizzo della grande area dell’ex dogana prima come grande contenitore di eventi (forma a suo modo geniale di inquietante riproduzione in forma speculativa del modello centro sociale) e poi come area destinata all’ennesima speculazione edilizia. «La storia dell’area dell’ex dogana, uno spazio aperto che delimita il quartier, e della sua trasformazione rappresenta in maniera didascalica come l’urbanistica, cioè la capacità dell’amministrazione pubblica di guidare la costruzione della città, mediando fra gli interessi privati e l’interesse pubblico, sia stata soppiantata dall’idea che la città è a disposizione di chi intende usarla per trarne valore», sostiene Rossella Marchini nel suo saggio. Per non parlare del tentativo tuttora in corso di sottomettere gli spazi sociali ai vincoli del mercato o alla logica concorrenziale dei bandi (contro i quali tra i tanti Esc, altro luogo topico del quartiere, si sta battendo). A fronte di tutto ciò, la nascita disordinata di un distretto del cibo e di una produzione, è proprio il caso di dire, mordi-e-fuggi. «Il quartiere diviene così oggetto dell’economia altrui, ma sempre meno soggetto in grado di produrre ricchezza sociale-territoriale diffusa. Questo insieme di fattori non produce automaticamente un impoverimento della popolazione, ma una sorta di indifferenza tra economia privata e ricadute territoriali» argomenta Alessandro Barile, autore di una ricerca sul campo.

«MENTRE QUESTO processo avveniva, non c’erano dati per leggerlo – scrivono gli autori – Tutt’ora non ci sono dati istituzionali per analizzare un fenomeno così importante. Ci sono i dati prodotti da attivisti e ricercatori, e grazie ai loro studi sappiamo cos’è successo e possiamo attribuire gli effetti empirici di questa trasformazione: la caduta verticale della qualità urbana, sociale, economica, dei quartieri dove le case diventano tutte case vacanza, l’aumento dell’emergenza abitativa». Ecco: le case. Sarah Gainsforth e Barbara Brollo si occupano della radiografia dell’impatto dell’economia delle piattaforme e la inesorabile decadenza dell’abitare, che rende un territorio un guscio vuoto nel mare delle speculazioni. È quello che Gainsforth definisce «lo sfaldamento del processo residenziale»: secondo un’elaborazione dei dati Istat, in trent’anni San Lorenzo ha perso quasi la metà della sua popolazione, passando dai quasi quindicimila residenti del 1981 ai poco più di ottomila del 2011. È un fenomeno intacca il tessuto sociale, trasforma le città in spazi alla mercé dei flussi e della rendita che a San Lorenzo rischia di stravolgere definitivamente il senso di appartenenza agli spazi pubblici e le identità collettive.

È DUNQUE tutto perduto? Nient’affatto. Solo da pochi giorni, ad esempio, a San Lorenzo è sorta la Casa della Socialità, gestita dalla polisportiva popolare Atletico San Lorenzo e dall’Anpi di zona. Segno che la storia continua, anche dopo una sconfitta epocale.

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