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Gli amici della destra contro il ministro Giuli

Gli amici della destra contro il ministro GiuliIl ministro alla Cultura Giuli

Politica Imbarazzo nell’esecutivo per l’offensiva dei Pro Vita dopo la nomina di Francesco Spano, ex Unar, a capo di gabinetto del Mic

Pubblicato circa 8 ore faEdizione del 15 ottobre 2024

Il ministro della Cultura Alessandro Giuli non ha nemmeno esordito che già ha scontentato una parte dei grandi elettori della destra, tanto da essere oggetto di una raccolta firme contro un suo atto a tempo record. L’ha lanciata l’associazione Pro Vita & Famiglia (la stessa che protesta per i convegni sul genere nelle università) per chiedere al neo ministro di revocare immediatamente la promozione a capo di gabinetto di Francesco Spano. Antonio Brandi, presidente dei Pro Vita e i suoi accoliti hanno trovato inammissibile che un uomo come Spano faccia parte del governo di destra Meloni. Non per la sua vicinanza al Pd ma perché avrebbe avuto una condotta immorale, secondo i loro parametri.

BASANDOSI su un servizio del programma Le Iene, Brandi ha tuonato: «Spano è noto alle cronache per lo scandalo che lo travolse nel 2017, quando emerse che l’Ufficio nazionale Antidiscriminazioni razziali (Unar), da lui diretto, aveva finanziato con 55 mila euro un’associazione Lgbtq, di cui lui stesso sarebbe stato socio, accusata di praticare nei propri circoli prostituzione, scambismo e promiscuità sessuale di ogni genere, tra dark room e glory hole». Spano fu poi costretto a dimettersi, ricordano i Pro Vita omettendo però che nel 2018 la Corte dei conti stabilì la legittimità di quel bando dell’Unar e del comportamento del suo direttore. Per l’associazione di ultradestra la nomina dell’avvocato a capo gabinetto di Giuli (del quale era stato già braccio destro al Maxxi) è «politicamente molto più grave e imbarazzante del caso Boccia che ha costretto alle dimissioni Sangiuliano».

«È INAMMISSIBILE che Spano dopo sette anni rientri nella compagine del governo guidato da Giorgia Meloni, che all’epoca dei fatti non solo pretese le dimissioni ma chiese giustamente la chiusura dello stesso Unar, un ente colonizzato dall’associazionismo Lgbtq». Ma il ministro, ex membro dell’associazione di estrema destra Meridiano Zero, se ne è, per usare un linguaggio affine, fregato: Spano è stato ufficialmente nominato ieri (mentre i carabinieri erano al Collegio Romano per trovare documenti relativi al Bocciagate) nonostante le proteste di una parte di FdI e i dubbi dei suoi. Non solo: gli ha dato l’incarico rimuovendo Francesco Gilioli, persona considerata fidata dal circolo della premier, accusato di aver avuto un ruolo nella vicenda che ha portato alle dimissioni il suo predecessore (per allontanare da sé ogni accusa).

NEI CORRIDOI del ministero insinuano che Gilioli potrebbe aver fornito materiale a Report per la sua prossima inchiesta sull’ex presidente del Maxxi. I Pro Vita non l’hanno presa bene: «La promozione di Spano è un’indecenza politica che tradisce il patto di coerenza tra la maggioranza di governo e gli elettori, che non hanno votato FdI per veder tornare in un ruolo chiave un funzionario di area Pd travolto dallo scandalo.

I PRO VITA AVVISANO la presidente del Consiglio che «gli elettori di centrodestra sono furiosi per questa incoerenza, e accusano l’esecutivo amico di non aver fatto sino a ora «assolutamente nulla per arginare la diffusione dell’ideologia gender nelle scuole». Poi annunciano una forte e dura opposizione al dicastero guidato da Giuli: «Aumenteremo la vigilanza su ogni singolo euro delle tasse degli italiani che, oltre allo stipendio di Spano, sarà usato dal ministro per finanziare e promuovere film, mostre ed eventi di matrice gender e woke».

SU UNA COSA i Pro Vita dicono il vero. Il 20 febbraio 2017 Giorgia Meloni attraverso i social chiese la chiusura dell’Unar: «L’Italia non ha alcun bisogno di un “ufficio” che con una mano finanzia un’associazione gay nei cui circoli si consumerebbero rapporti sessuali a pagamento e con l’altra scrive lettere ai parlamentari per censurare il loro pensiero».

L’Unar ovviamente non venne soppresso (è previsto dalla Ue) ma Fratelli d’Italia all’epoca presentò lo stesso un’interrogazione urgente sul caso. Oggi i maggiorenti del partito devono fare buon viso a cattivo gioco anche perché la cultura sembra non portare bene alla destra, che si infila in un ginepraio dopo l’altro (dalle prime dimissioni di un ministro al caso Rai).

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