Politica

Giuli senza rete nella guerra tra clan di Fratelli d’Italia

Giuli senza rete nella guerra tra clan di Fratelli d’ItaliaAlessandro Giuli – Ansa

Il mistero della Cultura In un clima avvelenato e oscurantista le vendette incrociate rischiano di provocare una slavina e di minare l’intero governo

Pubblicato 2 giorni faEdizione del 25 ottobre 2024

Se qualcuno aveva creduto alla favola di una partito che era passato dal 3% al 29% con una guida costante (le sorelle Meloni) e senza correnti, si è dovuto ricredere. Il nuovo dramma in atto sul ministero della Cultura ha reso evidente che in Fratelli d’Italia forse non ci sono le correnti ufficiali, ma è in corso una guerra tra bande, gruppi territoriali, appartenenze familistiche. Un conflitto condotto da tutte le parti con tale insipienza che rischia di far crollare il primo governo guidato da post fascisti.

LA SCENEGGIATURA è da telenovela sudamericana: gruppi di fratelli o sorelle che si detestano fra loro, «ambizioni meschine e miserabili astuzie», come cantava De André. «Comunque vada a finire, non ne usciamo bene», ammette una fonte di via della Scrofa. Anche perché è ormai cosa nota che i mandanti della character assassination omofoba dell’ex capo di gabinetto di Giuli, Francesco Spano, causa della valanga, sono interni a Fdi. «Alessandro, benché amico delle sorelle Meloni, ha molti nemici perché non appartiene al partito, viene percepito come un corpo estraneo, come un arrampicatore perché ha avuto molte carriere», spiega una militante della prima ora molto ascoltata a destra.

IN PARTICOLARE È INVISO all’ala «milanese» di Fratelli d’Italia, i figliocci di Tatarella, rappresentata dal presidente del Senato, Ignazio La Russa e da Maurizio Gasparri irritati per non essere stati consultati dalla premier per la scelta dell’ex direttore del Maxxi. Avevano deciso di fare buon viso a cattivo gioco ma sono esplosi dopo l’allontanamento di Francesco Gilioli, che non era solo un «prezioso uomo macchina ma un sodale», spiega ancora la fonte.

Purtroppo per lui, Giuli non appartiene neanche alla filiera di Colle Oppio. Come se non bastasse, c’è chi garantisce che il neo titolare del Collegio Romano sia anche oggetto della sete di vendetta di Sangiuliano, ex ministro, e di Federico Mollicone (protagonista mercoledì di una lite in Transatlantico con la sorella di Giuli, ufficio stampa di Fdi) che quel posto avrebbe voluto occuparlo e invece si ritrova “solo” presidente della commissione Cultura di Montecitorio. Colpo letale è l’antipatia dei due angeli custodi della premier a Palazzo Chigi, i sottosegretari Mantovano e Fazzolari. Il primo è il capo dell’area cattolica integralista e non ama le posizioni neo pagane di Giuli. Il secondo, anche se dichiara stima per il ministro alle agenzie di stampa, lo ha trovato da subito troppo indipendente, non controllabile come il predecessore al quale aveva messo intorno anche una rete di parenti e gente fidata per schermarlo. Rete che non ha funzionato, evidentemente, nell’impedire l’affaire di Maria Rosaria Boccia.

TUTTE QUESTE MICCE accese si sono intrecciate nell’agguato mediatico a Spano, «simbolo di tutto quello che non piace di Giuli», spiegano vecchi militanti costernati. L’esplosione, però, non è stata controllata: «Hanno fatto un gioco psicologico più che politico che ha causato un disastro: se Giuli si dimette è un guaio per tutti». Nelle chat interne di ora in ora sale lo scontro tra l’anima omofoba della destra e quella che invece vorrebbe un partito moderno. Il nervosismo è comprensibile: Sangiuliano è stata la prima delusione vera per la base.

La conquista del Mic rappresentava la chiave per la costruzione dell’uomo nuovo meloniano e una rivincita contro la sinistra che per anni, secondo loro, ha occupato la cultura e li ha chiamati rozzi e ignoranti. La giornalista del Secolo d’Italia, Annalisa Terranova, ha accusato sui social il partito di «vannaccismo»: «La politica di FdI deve essere laica (non laicista) e libera dai diktat dei Provita. Prima si chiarisce questo equivoco e meglio è, recuperando la tradizione di una destra non confessionale e che non faceva politica agitando il rosario o il Crocifisso (lo dico da cattolica). L’atteggiamento di avversione verso i gay e in generale verso gli Lgbtq+ lo trovo disgustoso e imbarazzante. Molti altri come me non sono disposti a seguire questa deriva». E a giudicare dal consenso del suo post sembra un’ipotesi plausibile.

PER QUESTO MELONI ha tentato di blindare il ministro dopo la resa di Spano. «Giuli non si deve dimettere» è stato il diktat ai suoi, assieme a quello di mettere a sopire il tutto accusando la solita sinistra di volere tornare al Mic. Ma la strategia della premier è fallita subito. Ieri Ranucci ha annunciato altri scoop sul Maxxi in onda nella puntata di Report di domenica prossima. Nonostante il suo cerchio magico alla Rai, Meloni non è riuscita a carpire il contenuto dei servizi. «Sicuramente i giornalisti di Ranucci hanno agganciato il malcontento e la sete di vendetta di qualcuno nel partito molto risentito – il ragionano dentro FdI – qualcuno pensava di festeggiare durante la puntata e ora si è reso conto che sarà un boomerang per tutti, nessuno ne uscirà bene, non Meloni che non si può rimangiare la scelta altrimenti crolla tutto, non il partito che ha dato ancora una volta una immagine pessima di sé».

INTANTO CHI HA VINTO e chi ha perso nello scontro tra fazioni lo si capirà quando sarà indicato il nome del nuovo capo di gabinetto così come il tipo di accordi che ha fatto il ministro con la premier per restare.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento