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Giù le mani dall’Acquedotto Pugliese!

Nuova Finanza Pubblica

Nuova finanza pubblica La rubrica settimanale a cura di Nuova finanza pubblica

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 1 giugno 2024

In questi giorni di campagna elettorale, si sprecano gli appelli delle forze politiche sull’importanza del voto, della partecipazione e della democrazia. Varrebbe la pena ricordare loro come, tredici anni fa, le persone non ebbero alcun bisogno di sollecitazioni per andare a votare i referendum sull’acqua, costruiti attraverso una straordinaria esperienza di partecipazione popolare dal basso, che aveva prodotto dapprima una legge d’iniziativa popolare con oltre 426.000 firme e successivamente una richiesta di referendum con oltre 1,4 milioni di firme.

A quei referendum, oltre 27 milioni di persone -la maggioranza assoluta del popolo italiano- votarono SI all’acqua come bene comune e alla sua sottrazione alle leggi del mercato.

Sappiamo come poi è andata a finire la storia e il deliberato non rispetto di quella volontà popolare (con l’unica eccezione della città di Napoli) è sicuramente una delle cause della disilussione di una buona parte dell’elettorato che oggi le forze politiche inseguono disperatamente.

Non contento di tutto ciò, ecco l’attacco finale del governo Meloni alla gestione pubblica dell’Acquedotto Pugliese, portato avanti attraverso l’impugnazione della legge regionale n.14/2024, con la quale la Regione Puglia consente l’ingresso ai comuni pugliesi nelle quote di partecipazione alla gestione del Servizio Idrico Integrato regionale.

Il Governo si fa forte di un pronunciamento dell’Autorità Garante della Concorrenza, ma la posta in gioco è chiara ed evidente: nel 2025 scade la concessione dell’affidamento pubblico dell’Acquedotto Pugliese e il governo vuole aprire la strada alla privatizzazione del servizio.

Stiamo parlando del più grande acquedotto d’Europa, la cui costruzione, decisa con legge del Regno d’Italia nel 1902, nell’arco di venti anni ha portato l’acqua dall’alta Irpinia a tutta la Puglia, ponendo fine alle epidemie che a inizio ’900 falcidiavano la popolazione. Si tratta di una rete idrica che serve 4 milioni di abitanti e si sviluppa per oltre 20mila km, cui si aggiungono oltre 12mila km di reti fognarie, 700 opere di sollevamento e 184 depuratori. Tutto costruito, è utile ricordare, con i soldi pubblici.

All’Autorità Garante della Concorrenza -che non ha speso una parola quando l’Emilia Romagna ha prorogato le concessioni alla multiutility pubblico-privata Hera- va forse ricordato come, nonostante tutti i tentativi portati avanti dai governi per sancire la definitiva privatizzazione dell’acqua, il Testo unico per il riordino dei servizi pubblici locali consente ancora il rinnovo delle gestioni in house al termine dell’affidamento.

La volontà referendaria andava molto oltre e rivendicava la trasformazione delle Spa a totale capitale pubblico in Aziende Speciali, ovvero enti di diritto pubblico, di per sé estranee alle leggi del mercato (lo stesso Acquedotto Pugliese è stato Ente Autonomo pubblico fino al 1999, quando la sbornia per le società per azioni lo ha trasforato in società di capitali, per quanto interamente pubblici), ma è evidente come ciò che va oggi impedita è la consegna di un’opera pubblica strategica agli appetiti delle multinazionali.

Una follia in senso assoluto, anche considerando il fatto che la Puglia è la regione d’Italia dove piove meno, con 641 mm annui medi, ed è la regione con la minor disponibilità annua media di risorsa pro capite, con soli 1000 metri cubi, rispetto a una media nazionale di 2.330 metri cubi.

Ora è più chiaro cosa intendono governi e grandi interessi finanziari per “ripresa” e “resilienza”: la ripresa è la continuazione senza soluzione di continuità delle politiche di espropriazione e privatizzazione, e la resilienza è la rassegnazione con la quale dovremmo predisporci a questo nuovo assalto all’acqua bene comune. Non permettiamolo.

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