Cultura

Giochi di ruolo intorno a Pyongyang

Giochi di ruolo intorno a PyongyangUn’opera dell’artista Song Byeok

L'Asia che verrà Un’intervista con Loretta Napoleoni, autrice di «Corea del Nord 2018», edito per Rizzoli

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 7 febbraio 2018

Loretta Napoleoni, economista e scrittrice, si è occupata nel tempo di Cina e di terrorismo internazionale. Per Rizzoli è uscito in questi giorni Corea del Nord 2018 – Kim Jong-un il nemico necessario (pp. 256, euro 19,50) nel quale analizza la genesi del potere dei Kim, inserendola nella storia asiatica, fino ad arrivare ai nostri giorni, ovvero l’appena trascorso 2017 vissuto pericolosamente tra test missilistici, nucleari e tweet provocatori del presidente americano Donald Trump. Un libro che espone quanto ormai a livello internazionale è riconosciuto, ossia una «razionalità» nell’agire da parte di Kim Jong-un e che abbandona visioni semplicistiche sulla Corea del Nord.

La Corea del Nord è una società «mercatizzata». Così è ormai definita da analisti, economisti e anche media internazionali. Secondo lei, per quale motivo in Italia la si continua a descrivere per lo più come un «regno eremita», come se non avesse alcun contatto con l’esterno?
Il nemico, come scrivo, è necessario. Dal 1989 c’è stata un’euforia legata alla cosiddetta vittoria della guerra fredda, all’espansione del libero mercato. Tutto questo non ha certo prodotto, però, un mondo migliore. Basta prendere l’esempio dell’Iraq o dell’Afghanistan. Succede che l’idea che ci sia un paese come la Corea del Nord, considerato erroneamente una replica dell’Urss, un paese comunista, diventa quasi un conforto. Naturalmente tutto ciò è falso, però rinforza l’autoconvinzione da parte di tutti che questa globalizzazione, che la vittoria del capitalismo abbiano prodotto un mondo migliore. Ci sono giornalisti che sono entrati in Corea e hanno raccontato storie diverse, eppure ci conforta pensare alla Corea come un paese eremita. Lo stesso è valso per la Cina: dieci anni fa se ne parlava solo in termini negativi, oggi Xi Jinping è considerato il paladino della globalizzazione.

Kim Jong-un ha spostato l’attenzione dall’esercito all’economia. In cosa consiste la sua novità dal punto di vista economico?
Non si tratta di riforme vere e proprie, quanto a un «lasciar fare». In Corea non hanno avuto una pianificazione in stile sovietico o cinese; la juche, non a caso, è una filosofia, una religione fortemente contraddittoria e non c’entra niente con il comunismo. Più che di cambiamenti strutturali si parla di concessioni e di tolleranza verso i mercati informali. È chiaro che è un’arma a doppio taglio perché nel momento in cui questo non andasse più bene, possono chiudere tutto quanto. A loro al momento gli sta bene. Siamo di fronte a un regime dinastico e nazionalistico che tollera l’economia informale in grado di soddisfare i bisogni primari dei suoi cittadini. Per comprendere la Corea del Nord è necessario spogliarsi della visione eurocentrica che impedisce di comprendere alcune dinamiche proprie delle società asiatiche in generale e in particolare della Corea del Nord.

Per quanto riguarda l’attualità: nel suo libro spiega come le sanzioni, alla fine, vengano arginate in modo molto semplice dalla Corea del Nord. Continuare a sanzionare Pyongyang quindi che senso ha oggi? È solo un modo per prendere tempo nell’attesa di assumere il fatto che la Corea del Nord sia una potenza nucleare?
Le sanzioni non servono a niente. Da parte degli Stati uniti si tratta di una mera propaganda interna da parte di Trump; a livello storico le sanzioni non hanno mai funzionato. Rimane il fatto che la Corea del Nord è un paese nucleare e ogni ipotesi di guerra è totalmente fantastica. È chiaro che in ballo c’è altro: le sanzioni sono scaramucce di un conflitto ben più ampio tra Cina e Stati uniti. E i cinesi mi pare che lo sappiano molto bene. Pensiamo solo alla questione del Thaad (il sistema anti missilistico che gli Usa hanno installato in Corea del Sud ndr): i cinesi che sono veri strateghi stanno manovrando tutta la tensione coreana nel modo giusto, ma il sistema anti missilistico così vicino alla Cina indica chiaramente quale sia la vera posta in palio.

Le recenti decisioni di Trump di porre dazi contro la Cina e contro la Corea del Sud, che effetti avranno?
Con le elezioni del mid term Trump prova a giocarsi le sue carte, puntando sul nazionalismo americano, attraverso una forma di protezionismo che alla fine negli Usa pare sempre funzionare. Ma credo che questo gioco con Kim Jong-un, alla fine, non abbia funzionato granché: questo riavvicinarsi ad esempio tra Nord e Sud per le Olimpiadi credo abbia spiazzato Trump.

Che dire invece, a questo proposito, della forte presenza russa nella vicenda, che forse ha perfino indispettito, un poco, Pechino?
Putin è un furbone e se la gioca benissimo con Xi Jinping. Sa bene come muoversi, anche se chiaramente sulla questione nord coreana è ancora Pechino, secondo me, a tenere tutto sotto controllo.

Secondo i suoi contatti e le fonti del suo libro, Pechino ha mai davvero pensato a un «regime change» a Pyongyang? E inoltre: a questo punto come potrebbe evolversi la questione coreana?
Ritengo ci sia ovviamente molto che non sappiamo, tanto per quanto riguarda la Cina, quanto per la Corea del Nord. Non credo che vedremo mai l’unificazione, nonostante sia il Nord sia il Sud la vogliano. Ma a Pechino questa ipotesi non interessa. La cosa più realistica è probabilmente un trattato di pace tra i due paesi, che non c’è mai stato dopo la fine della guerra. A quel punto, gli equilibri cambierebbero e non poco.

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