Ronit Haufmann si è unita alle proteste domenica, quando un fiume umano ha raggiunto la Knesset per una nuova ondata di contestazioni del primo ministro Netanyahu. Ora è alla tendopoli allestita dai manifestanti davanti al parlamento. «Queste manifestazioni non sono più soltanto per chiedere un compromesso (con Hamas) che porti alla liberazione degli ostaggi. Vogliamo di più, le dimissioni di Netanyahu e le elezioni anticipate», spiega Ronit descrivendo l’escalation politica avuta dalla battaglia contro il premier cominciata mesi fa dalle famiglie degli ostaggi israeliani a Gaza. «Netanyahu è un fallimento totale, ha sbagliato tutto. Un anno fa ha attaccato le istituzioni giudiziarie, poi non saputo prevenire il 7 ottobre e non ha riportato a casa tutti gli ostaggi. E ora vuole permettere agli ebrei haredim (suoi alleati) di evitare la leva obbligatoria» aggiunge Ronit riferendosi al progetto di legge sostenuto dal primo ministro che esenta i giovani ultraortodossi dal servizio militare. A pochi metri, seduta accanto a un muretto all’ombra, c’è una anziana, con un gomitolo di lana rossa ai suoi piedi, che lavora a maglia la sua parte di una lunga sciarpa, ben 80 chilometri, che dovrà idealmente unire la tendopoli di Gerusalemme agli ostaggi a Gaza.

Dopo mesi le proteste sono sfociate in una contestazione che abbraccia un po’ tutto e non più solo l’insoddisfazione, se non la rabbia, delle famiglie degli ostaggi per negoziati in Qatar e al Cairo, ripresi ieri, che non hanno portato allo scambio tra sequestrati israeliani e prigionieri politici palestinesi. Proteste ampie e sempre più politiche alle quali la polizia sabato ha risposto con modi forti mentre diversi esponenti della maggioranza e lo stesso Netanyahu hanno criticato con parole di fuoco i manifestanti e i partiti dell’opposizione. Chi protesta, hanno detto, «favorisce Hamas» nel momento in cui Netanyahu starebbe portando Israele alla «vittoria totale» a Gaza. Una versione della realtà a cui molti israeliani non credono più, anche se l’idea del cessate il fuoco immediato e permanente e della ricerca di una soluzione politica allo scontro con i palestinesi resta confinata a un numero molto esiguo di attivisti di sinistra.

Einav Zangauker, che ha il figlio Matan tra gli ostaggi a Gaza, è convinta che Netanyahu abbia scarsa empatia per la condizione dei sequestrati e che stia prolungando la guerra per i suoi interessi politici. L’ha spiegato sabato sera. «Dopo 176 giorni, abbiamo capito che l’ostacolo al ritorno dei nostri cari a casa è proprio Netanyahu», ha detto esortando la folla a fare il possibile per costringere il primo ministro a farsi da parte. Alcuni giornali sostengono che anche nel gabinetto di guerra e nel più largo gabinetto di sicurezza, si starebbe facendo strada l’idea che lo sblocco della trattativa per gli ostaggi dipenda in gran parte da Israele. Passi in avanti non se ne sono fatti per la posizione rigida di Netanyahu frutto di ragioni ideologiche e della necessità di non entrare in conflitto con l’ala più estrema del suo governo.

Con l’offensiva militare in corso a Gaza, mentre incombe l’attacco alla città di Rafah, è però difficile attendersi la spallata decisiva, nelle strade e nelle stanze della politica, necessaria per far cadere Netanyahu. La giornalista di Haaretz, Amira Hass, ieri scriveva che la maggior parte degli israeliani sa che il premier mente, molti sospettano che le sue politiche siano motivate da interessi personali e familiari, eppure continuano a sostenere la sua guerra a Gaza. Hass invita a non dare peso ai risultati dei sondaggi sfavorevoli a Netanyahu. Quello più affidabile, sottolinea «è la continua partecipazione di migliaia di israeliani all’assalto che comporta uccisioni di massa e distruzione dilagante a Gaza e alle operazioni di oppressione ed espulsione (dei palestinesi) che hanno luogo in Cisgiordania».