L’«attimo fatale» per George Floyd è durato ben otto minuti. Quelli necessari perché «la presa» dell’agente che lo bloccava a terra, con un ginocchio sul collo, lo uccidesse. Nel frattempo, lui ripeteva, almeno venti volte secondo alcune testimonianze, «I can’t breathe», non respiro. Parole destinate a trasformarsi in un grido di rabbia, in una richiesta di giustizia, nell’urlo lancinante di una parte della società americana che continua a sentirsi negata e dei molti che, pur non subendo nulla di simile, sono decisi a tentare di cambiare definitivamente il proprio Paese. PERCHÉ LA MORTE del 46enne afroamericano per mano di un...