Genova 2001, un riconoscimento tardivo dell’eclissi della democrazia
La sentenza emessa giovedì della Corte europea per i diritti dell’uomo è un nuovo tangibile atto di condanna alla gestione dell’ordine pubblico a Genova durante il G8 del 2001 e […]
La sentenza emessa giovedì della Corte europea per i diritti dell’uomo è un nuovo tangibile atto di condanna alla gestione dell’ordine pubblico a Genova durante il G8 del 2001 e […]
La sentenza emessa giovedì della Corte europea per i diritti dell’uomo è un nuovo tangibile atto di condanna alla gestione dell’ordine pubblico a Genova durante il G8 del 2001 e un parziale ristoro alle vittime dirette delle angherie, dei saccheggi e dei pestaggi cui abbiamo assistito in quei tremendi 20 e 21 luglio.
Non possiamo che rallegrarci del fatto che il Giudice di Strasburgo – che non è un’istituzione dell’Ue, ma afferente al più esteso Consiglio d’Europa – ha per la terza volta dal 2015 condannato il Governo tanto per la gestione dell’ordine pubblico quanto episodi che definisce di «tortura».
C’è voluto la determinazione dell’avvocatura genovese, protagonista del controvertice fin dalla formazione del legal team, oltre che di soggetti singoli, come il nostro compagno Arnaldo Cestaro, e dell’auto-organizzazione sociale, come il Comitato piazza Carlo Giuliani e l’Osservatorio contro la repressione, per ottenere un riconoscimento tardivo dell’eclisse della democrazia.
La Corte europea, predicando nel deserto della politica italiana, non ha solo condannato l’erario a risarcimenti per migliaia di euro per atti di rappresaglia posti in essere contro donne e uomini inermi, ha sollecitato il legislatore a introdurre il reato di tortura e gli identificativi alfanumerici per gli operatori dell’ordine pubblico.
L’attualità è, ancora una volta, insoddisfacente non solo per noi, ma per altri servitori dello Stato rispetto a quei membri del governo, dirigenti delle forze dell’ordine e, persino, un magistrato registi o sostenitori della repressione genovese. Enrico Zucca, Salvatore Sinagra e gli altri magistrati requirenti e giudicanti che hanno portato alle condanne definitive per la macelleria messicana delle scuole Diaz/Pertini non per tortura, ma per falso ideologico, calunnia aggravata e lesioni aggravate hanno, infatti, recentemente criticato la nuova fattispecie incriminante della tortura così come introdotta lo scorso luglio nel codice penale con l’art. 613 bis.
Un pasticcio normativo: quando per introdurre il reato proprio esclusivamente delle donne e degli uomini che indossano una divisa sarebbe stato sufficiente ‘copiare’ il testo contenuto nella Convenzione delle Nazioni Unite ratificata dall’Italia nel 1989.
Il nuovo art. 613 bis, invece, non sarebbe applicabile – secondo questi magistrati e secondo chi scrive – neppure a condotte gravissime come quelle poste in essere a Genova e, ove applicabili, renderebbe difficilissima la prova degli eventi subiti dalle vittime. Il legislatore, sovente critico del potere soverchio della giurisdizione, ha scelto così di offrire campo libero ai giudici se e come perseguire un reato tanto odioso.
La giusta soddisfazione per le condanne non può farci recedere dall’impegno contro l’affermazione della tutela concreta dei diritti dei singoli cittadini alla mercé di potenziali torturatori.
Dobbiamo, conclusivamente, ringraziare i Giuristi democratici che con straordinario tempismo sabato hanno organizzato un interessante seminario su questi temi che ha il merito di far interloquire non contrapporre le parti del processo penale come gli avvocati, i pm e i giudici.
*Rifondazione Comunista
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