Gaza, tregua fragile ma il conflitto rimane
La tregua promessa L’Onu ha approvato una inchiesta sulle violazioni dei diritti umani commesse dal 13 aprile in Israele, Gerusalemme est e nei Territori occupati. I Paesi europei contrari o astenuti
La tregua promessa L’Onu ha approvato una inchiesta sulle violazioni dei diritti umani commesse dal 13 aprile in Israele, Gerusalemme est e nei Territori occupati. I Paesi europei contrari o astenuti
Una fragile tregua ha posto fine all’ennesima esplosione di violenza nel conflitto infinito che da quasi un secolo dilania il territorio dell’ex Mandato britannico della Palestina. Anche questa volta il sole sorge su un paesaggio di macerie, costellato di lutti che alimentano l’odio instillato nella carne viva dei due popoli da una lunga storia di abusi, di discriminazioni, di crimini contro l’umanità.
In questa fase si contano i morti e i danni subiti -quasi esclusivamente- dalla popolazione di Gaza, però cessato il fragore delle armi, non si intravede alcun ripensamento che possa portare al superamento delle ragioni che alimentano il conflitto. Il primo passo dovrebbe essere quello di accertare come si sono svolti i fatti e se sono state commesse, come sembra evidente, delle gravi violazioni delle leggi internazionali che tutelano i diritti umani fondamentali anche nelle situazioni belliche.
Il quotidiano progressista israeliano Haaretz (La Terra) ha pubblicato ieri le foto dei 67 bambini uccisi nella Striscia di Gaza, forse per indurre qualche scrupolo nell’opinione pubblica israeliana, però nessun ripensamento hanno avuto gli Stati dell’Unione europea nel loro sostegno acritico ad Israele. Proprio giovedì a Ginevra il Consiglio dei Diritti umani dell’Onu ha approvato una risoluzione disponendo l’istituzione di una Commissione indipendente d’inchiesta con l’incarico indagare su tutte le violazioni del diritto internazionale umanitario commesse in Israele, Gerusalemme est e nei territori occupati a partire dal 13 aprile 2021 e di approfondire le cause delle ricorrenti tensioni.
La risoluzione è stata approvata con 24 voti a favore, 9 contrari e 14 astenuti. I Paesi europei – sempre pronti per i diritti umani a senso unico – si sono divisi fra contrari (Austria, Repubblica Ceca, Germania, Bulgaria, Gran Bretagna) e astenuti (Italia e Francia). Sono scontate le furiose reazioni contrarie di Israele. In realtà lo Stato di Israele non ha mai accettato alcuna delle numerose raccomandazioni che gli sono state fatte dal Consiglio dei Diritti umani dell’ONU e ne ha ostacolato l’attività, fino al punto che il 14/12/2008 il Relatore speciale incaricato di monitorare la situazione dei diritti umani dopo essere atterrato a Tel Aviv in visita ufficiale fu arrestato e deportato.
Ciononostante le gravi e sistematiche violazioni del diritto internazionale da parte di Israele sono ampiamente documentate, così come è ampiamente documentato il terribile impatto in termini di sofferenza umana di tali violazioni. Sono 54 anni che Israele occupa illegalmente la Cisgiordania e Gerusalemme est. Il rapporto recentemente pubblicato da Human Rights Watch (A threshold crossed) documenta come, fin dall’inizio Israele ha progettato di mantenere per sempre il controllo dei territori occupati in seguito della guerra dei sei giorni. Nel c.d. piano Drobles (1980) si affermava testualmente: «Non ci deve essere alcuna ombra di dubbio della nostra intenzione di mantenere per sempre il controllo di Giudea e Samaria attraverso l’installazione di insediamenti in queste aree».
Di conseguenza dal 1967 sono stati realizzati 280 insediamenti nella Cisgiordania, che hanno frammentato la popolazione palestinese, secondo B’Tselem, in 165 isole territoriali non contigue. Se consideriamo tendenzialmente perpetuo il controllo dello Stato di Israele sui territori occupati, allora diventa evidente che è stata creata una situazione di apartheid, simile a quella che a suo tempo fu contestata al Sudafrica, poiché in un medesimo territorio in cui convivono due gruppi etnici, uno dei due esercita una forma di dominio sull’altro, escludendolo dal godimento dei diritti di cui usufruiscono i membri del gruppo dominante.
Nell’area che va dal Mediterraneo al fiume Giordano, vivono circa 6.8 milioni di ebrei israeliani e 6.8 milioni di palestinesi, in condizioni fortemente differenziate per gruppo etnico. La popolazione palestinese è soggetta a forme di discriminazione che variano d’intensità a seconda dei luoghi e della situazione, godendo di uno status diverso a seconda che abbiano la cittadinanza, siano residenti a Gerusalemme est, o nell’area A e B della Cisgiordania, o nell’area C, oppure a Gaza. Il regime di apartheid in Sudafrica fu rovesciato e si giunse ad una soluzione pacifica, senza spargimento di sangue, grazie alle sanzioni della comunità internazionale. Con la stessa intransigenza si deve denunciare il regime di apartheid instaurato dallo Stato d’Israele ed adoperare le opportune sanzioni se si vuole costruire una soluzione pacifica al conflitto.
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