Gaza tra stragi e fughe. Hamas va al Cairo
Palestina/Israele Ancora ordini israeliani di evacuazione, 13 in un mese: le «zone sicure» sono il 15% della Striscia. Oggi in Egitto riprende il dialogo. L’esercito avanza al centro e a sud, e dove si ritira emergono i cadaveri. PeaceNow: dal 7 ottobre in Cisgiordania il governo ha consegnato 150mila fucili e pistole ai coloni
Palestina/Israele Ancora ordini israeliani di evacuazione, 13 in un mese: le «zone sicure» sono il 15% della Striscia. Oggi in Egitto riprende il dialogo. L’esercito avanza al centro e a sud, e dove si ritira emergono i cadaveri. PeaceNow: dal 7 ottobre in Cisgiordania il governo ha consegnato 150mila fucili e pistole ai coloni
«Avevo i capelli lunghi e bellissimi. Mi piaceva pettinarli ogni giorno prima di andare a scuola, ero la più brava ad acconciarli, in tanti modi diversi». Sama Tabil ha otto anni e vive in una tenda a Gaza.
I SUOI FOLTI capelli neri non ci sono più: li ha persi per lo choc, il terrore di morire e la fuga tra cadaveri e sangue. Un bombardamento israeliano ha centrato l’accampamento in cui la famiglia si era rifugiata a Rafah. Sembrava non finire mai, dice Sama.
Nei giorni successivi i capelli hanno iniziato a cadere. Il trauma perdurante vissuto dai bambini di Gaza è difficile da capire, lo si può solo immaginare. Ieri l’Unicef ha aggiornato il numero dei minori rimasti completamente soli, senza più familiari sopravvissuti: sono 19mila. Sedicimila, almeno, sono quelli uccisi.
C’erano dei bambini anche nella casa della famiglia Kalakh, colpita da un raid israeliano a Khan Younis. Era rimasta in piedi per dieci mesi. Le vittime sono undici, i feriti quindici. Ieri, nelle poche ore che separano l’alba e la tarda mattinata, a Gaza erano stati ammazzati già trenta palestinesi, a Khan Younis, Abu Areef, Nuseirat, Bureij, Deir al-Balah.
Nelle 24 ore precedenti ne erano stati uccisi 69. Dal 7 ottobre sono 40.334 i morti accertati, a cui si aggiungono 93.400 feriti e 10mila dispersi (un numero che sale e scende, via via che nuovi cadaveri vengono identificati e che altri scompaiono sotto le macerie).
A DEIR AL-BALAH, intanto, prosegue la nuova avanzata via terra dell’esercito israeliano: bombardamenti e ordini di evacuazione comunicati dall’account X del portavoce dell’esercito Avichay Adraee. Secondo i dati resi noti dall’Onu, nelle ultime 48 ore da Deir al-Balah sono fuggite 100mila persone.
Il territorio di Gaza che non è sotto ordine israeliano di evacuazione è un fazzoletto: appena il 15% della Striscia a disposizione, e non è detto che sia sinonimo di sicurezza.
«Ogni pezzo di terra intorno a Deir al-Balah è pieno di gente – riporta il giornalista di al Jazeera Hani Mahmoud – Gli ordini generano il panico…Il timore è che il numero di aree che possono diventare target dell’esercito israeliano aumentino ancora. Sempre più isolati sono parti della “zona rossa” e alla gente non viene dato abbastanza tempo per scappare…Il cielo della città è pieno di quadricotteri, droni di sorveglianza, caccia».
Ordini simili anche per Hamad, a sud, a Khan Younis. Secondo i dati raccolti dall’Ap, in un mese – dal 22 luglio a ieri – le autorità militari hanno emesso tredici ordini di evacuazione, un numero enorme che costringe centinaia di migliaia di persone in «zone sicure» sempre più piccole. E dove mancano magazzini e centri di distribuzione.
LA DENUNCIA è dell’Onu: ad agosto oltre un milione di palestinesi non ha ricevuto aiuti alimentari a causa dei continui spostamenti, obbligati da ordini e avanzate dei soldati. La fuga ininterrotta fa il paio con la scarsità di camion umanitari in ingresso dal valico di Kerem Shalom (quello di Rafah, il principale, è inutilizzabile dal 6 maggio a causa dell’occupazione israeliana e della sua successiva distruzione).
Dall’altra parte del confine, in Egitto, si attende l’apertura del tavolo negoziale, oggi secondo round dopo quello di Doha della scorsa settimana. Una novità c’è: Hamas ha inviato una delegazione.
In Qatar il movimento islamico palestinese non si era presentato, aveva giustificato l’assenza con la «pre-adozione» del piano promosso dal presidente Usa Joe Biden il 31 maggio scorso e approvato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite. Insomma, niente da discutere, dice Hamas, c’è solo da firmare.
Non è andata così. Le nuove condizioni poste dal premier israeliano Netanyahu – il controllo dei corridoi Philadelphia a sud e Netzarim al centro, l’esilio all’estero dei prigionieri palestinesi da liberare e limitazioni al rientro degli sfollati verso il nord di Gaza – hanno rimescolato le carte, allontanando per l’ennesima volta la prospettiva di un accordo tra Hamas e Tel Aviv per il cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi israeliani.
L’arrivo al Cairo di Hamas riapre uno spiraglio: sul tavolo qualcosa che trova interessante da discutere potrebbe esserci. Il gruppo non parteciperà al dialogo direttamente, si procede con i negoziatori a fare la spola tra una stanza all’altra, quella israeliana: oggi in Egitto sbarcheranno i capi dei servizi, Barnea (Mossad) e Bar (Shin Bet).
RAGIONI per essere ottimisti ce ne sono comunque poche. Lo dice chi di esperienza alle spalle ne ha a sufficienza, come Gershon Baskin, ex negoziatore israeliano: «È necessario un controllo palestinese accettabile del valico di Rafah, sotto supervisione internazionale». Per Netanyahu significherebbe la capitolazione, per Hamas – che da governo è ridotto a guerriglia – una vittoria.
E mentre Gaza resta all’inferno, in Cisgiordania ieri coloni israeliani hanno dato alle fiamme decine di alberi di ulivo nel villaggio di Sarra, vicino Nablus. Dal 7 ottobre l’Onu ha registrato 1.334 aggressioni dei coloni in Cisgiordania contro la popolazione palestinese.
Con il beneplacito del governo, sotto forma di impunità e armi: i dati raccolti da PeaceNow dimostrano che negli ultimi dieci mesi Tel Aviv ha trasferito ai coloni 150mila pistole e fucili e ha approvato 100mila nuove licenze d’acquisto.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento