Gaza nei corti, dalla tragica attualità alla memoria viva
Cinema Il Nazra Palestine Short Film Festival in numerose città, una selezione che parla di lotte, paura e presente. "The Key" di Rakan Mayasi, miglior lavoro di finzione, ricorda un horror di Romero
Cinema Il Nazra Palestine Short Film Festival in numerose città, una selezione che parla di lotte, paura e presente. "The Key" di Rakan Mayasi, miglior lavoro di finzione, ricorda un horror di Romero
«Nazra» in arabo vuol dire «sguardo». E posare lo sguardo sul cinema palestinese odierno, orientato sui cortometraggi, è quanto sta facendo l’omonima associazione attraverso il Nazra Palestine Short Film Festival giunto quest’anno alla quinta edizione. Si tratta di una manifestazione itinerante che – dopo le tre giornate d’inaugurazione a Venezia a inizio ottobre e le successive tappe a Torino – sarà accolta in oltre trenta città nel corso del mese (elenco su nazrafilmfestival.com). Sale cinematografiche, ma non solo, perché la missione di Nazra è quella di ampliare gli spazi di fruizione e di raggiungere una pluralità di spettatori portando i film anche in università, teatri, musei, associazioni, carceri, club.
E PER LA PRIMA volta – accanto alle tradizionali categorie dedicate a film di finzione, documentari, opere sperimentali – ecco la sezione «Gaze on Gaza» riservata ai reportage provenienti dalla Striscia e dalla Cisgiordania. A comporre uno sguardo aperto che, con il cinema, restituisce la tragica attualità palestinese, il genocidio, la soppressione di un popolo, e include, al tempo stesso, la memoria e tracce indelebili del passato.
Potente e politico come un horror di Romero, The Key (2023) – miglior cortometraggio di finzione di Rakan Mayasi, regista palestinese nato in Germania, interpretato da Saleh Bakri – è un film d’interni che di-segna un’inquietudine crescente, una paura progressiva che s’insinua tra i personaggi, a partire da un nucleo familiare – marito, moglie, figlia piccola – che abita in un edificio strettamente sorvegliato. Un non-luogo, così come i pochi altri presenti, dove israeliani benestanti subiscono una minaccia invisibile. Chi sta bussando alle loro porte? Cosa sono quei rumori che, di notte, tengono sveglia la bambina e poi anche gli adulti? Eppure, oltre la soglia non c’è nessuno. Apparentemente. Si reagisce sparando con una pistola o un fucile, facendo squarci nelle porte. Sono i fantasmi-zombi dei palestinesi cacciati quelli che bussano, «che desiderano tornare a casa», come si legge nella didascalia finale a loro dedicata. Non danno pace perché non ce l’hanno e la rivendicano, mai dimenticando le loro chiavi di casa.
UNA «LETTERA rivolta al futuro», con la voce narrante di una donna che «proviene dal passato», è The Silent Protest: 1929 Jerusalem (2022), miglior documentario, della regista e ricercatrice nata a Gerusalemme Mahasen Nasser El-Din. Gerusalemme oggi (esplorata in soggettive a piedi o in auto, avanzando, o in totali fissi di città e dintorni, e con la scena di flagrante bellezza di giovani donne che camminano in un campo entrando nell’inquadratura e uscendo da essa) e ieri (in foto d’epoca, immagini di repertorio). Era il 26 ottobre 1929 quando centinaia di donne raggiunsero Gerusalemme da tutta la Palestina per protestare, in silenzio, contro i britannici e creare un movimento femminista panarabo.
Tra bianconero e colore, animazione e flash d’archivi manipolati, rallentati, parole pronunciate e lettere che formano parole «galleggianti» nelle immagini, dettagli di volti (una bambina più volte filmata, un’anziana in lacrime) e luoghi di Betlemme nel corso del tempo, The Poem We Sang (2023), miglior corto sperimentale, è un poema visivo e musicale firmato da Annie Sakkab, cineasta e fotoreporter indipendente palestinese-giordana-canadese. Mentre con Abo Jabal (2024), la giornalista, regista e attivista palestinese Bisan Owda ha vinto il premio intitolato a Vittorio Arrigoni della categoria «Gaze on Gaza».
Immagini-istantanee da Rafah dall’alto e dall’interno per parlare di quotidianità, morte, distruzione, esodi, case sventrate che mantengono memorie, del muro che separa Gaza dall’Egitto. Una donna e una bambina si fanno voce collettiva del popolo palestinese dopo il 7 ottobre 2023. E una colonna sonora tesa come un ronzio dà ulteriore fisicità alla precarietà diffusa, all’instabilità permanente determinata da sfollamenti incessanti e rifugi temporanei da individuare.
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