«Quello che accade in Palestina non resta mai confinato là, viene sempre esportato». Così Antony Loewenstein, giornalista investigativo australiano-tedesco, sintetizza i contenuti del suo libro, «Laboratorio Palestina. Come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo» (Fazi Editore,  336 pagine, 20 euro).

Antony Loewenstein

Lei ha definito Gaza il laboratorio perfetto, una popolazione intrappolata oltre altissime barriere, sotto sorveglianza continua e attacchi missilistici: «il definitivo sogno etno-nazionalista, tenere i palestinesi imprigionati in un esperimento forzato di controllo». Ora si è raggiunto un nuovo livello: l’intelligenza artificiale come decisore militare. Cos’è Gaza per Israele?

Quanto accaduto il 7 ottobre sta accelerando il modello di laboratorio. In molti dicono giustamente che il 7 ottobre ha mostrato che il sistema ha fallito in modo catastrofico. Eppure negli ultimi sei mesi tantissime compagnie israeliane, il governo e l’esercito tentano di far dimenticare il fallimento di quel giorno. L’esercito israeliano, compagnie private israeliane e anche statunitensi stanno testando armi a Gaza. Le mostrano ai mercati globali: cosa è possibile fare quando deliberatamente non localizzi dei terroristi? Quando puoi causare deliberatamente distruzione di massa? Il punto è la distruzione di massa. Perché è chiaro che gli obiettivi dichiarati della missione israeliana non saranno raggiunti. Possono aver ucciso qualche combattente di Hamas, ma la leadership rimane per lo più intatta, a Gaza e fuori. Ritengo che quello che Israele ha ottenuto è l’obiettivo che si era posto da tanto tempo: rendere Gaza invivibile.

Il laboratorio palestinese sembra una fiera a cielo aperto di equipaggiamento militare e tecnologico. In passato le nuove armi venivano vendute a offensive ancora in corso. Succede anche oggi?

Se abbiano già venduto qualcosa non è dato sapere. Ma abbiamo già visto esposizioni nelle due più grandi fiere degli ultimi sei mesi, Parigi e Singapore. Le compagnie israeliane erano presenti per vendere armi e sistemi di Ai e di sorveglianza che dicono apertamente essere stati testati a Gaza. Molti paesi, anche quelli che a parole si oppongono all’offensiva, li compreranno. La ragione per cui nessun paese arabo ha interrotto i rapporti con Israele, e perché nessuno lo farà, è che dipendono dalle tecnologie di repressione e sorveglianza israeliane. Le popolazioni di Egitto, Giordania, Arabia saudita, Emirati, anche del Bahrain, stanno protestando, in alcuni casi in massa. Per ora i governi permettono le proteste. Ma le temono: i paesi arabi sono terrorizzati dai loro stessi popoli e il modo di gestirli è attraverso le tecnologie israeliane.

L’industria militare israeliana nasce negli anni ‘50 con due principali obiettivi: il controllo sociale dei palestinesi e l’esportazione all’esterno, per ragioni economiche e per cementare rapporti diplomatici. Israele ha venduto armi a regimi dispotici, la Romania di Ceausescu, l’Haiti di Papa Doc, l’Indonesia di Suharto…e oggi Cellebrite e Nso lavorano con regimi autoritari ovunque nel mondo. Israele ha avuto un ruolo militare anche nel genocidio ruandese, la guerra civile in Guatemala e la dittatura cilena di Pinochet. Com’è stato possibile?

Israele vende armi dagli anni ‘50, con un’accelerazione dopo la guerra dei sei giorni del 1967. Lo ha fatto fianco a fianco con gli Stati uniti. Con casi eccezionali: ho visionato documenti declassificati che mostrano come Israele fornisse armi al regime di Pinochet quando nemmeno gli americani lo facevano. Lo faceva per fare soldi e per farsi amici, per ottenere supporto alla sua occupazione perché dopo il ‘67 a molte nazioni non piaceva la natura coloniale dell’occupazione. Da Pinochet al Guatemala, dal Sudafrica dell’apartheid all’Iran dello scià, erano tutte nazioni vicine agli Stati uniti. È in questo periodo che le relazioni tra Usa e Israele si solidificano. E 50 anni dopo non è cambiato nulla.

Per le democrazie liberali il punto di svolta è l’11 settembre. Lei cita Naftali Bennett che da premier definisce Israele «la prima linea nella guerra globale al terrore». Israele ha saputo farsi modello di sicurezza razzializzata per un Occidente che iniziava a considerare nemici interni particolari gruppi etnici, religiosi o sociali.

Quanto successo il 7 ottobre è già stato trasformato da Israele nel suo 11 settembre, nonostante sia stato un totale disastro: 1.200 israeliani uccisi, sicurezza evaporata, Hamas capace di scorrazzare nel sud di Israele per giorni. Ma la carneficina di massa a Gaza è il modello che altri paesi potrebbero seguire. Nel libro, scritto prima del 7 ottobre, parlo di «palestinizzazione» dei conflitti: il modo in cui Israele opera a Gaza o gli Usa in Afghanistan o in Iraq è carneficina di massa. Niente di tutto ciò li ha resi più sicuri. Io sono ebreo e so che, quando questa follia finirà, non sarà più sicuro. Dopo l’11 settembre gli Stati uniti e gran parte dell’Europa, ma anche l’Australia, hanno seguito alla lettera l’ideologia e le politiche israeliane. Anche il linguaggio: o con noi o con i terroristi. Gli Usa non erano uno stato innocuo prima del 9/11, erano un impero che agiva orribilmente. Dopo, il 9/11 però Washington ha fatto sua la filosofia di guerra continua che Israele aveva inaugurato in Libano negli anni ‘80: guerre lanciate contro intere popolazioni, massacri di massa, occupazione di territori senza di fatto vincere mai, perché dal Libano Israele si è ritirato con la coda tra le gambe…lo stesso accade oggi a Gaza. Non ha imparato nessuna lezione, come non l’hanno imparata gli Stati uniti dopo il Vietnam, l’Afghanistan, l’Iraq. I regimi possono essere ribaltati in poco tempo, quello di Saddam, quello talebano, ma poi ne segue solo un’occupazione senza fine che genera resistenza. Hamas non governerà mai più Gaza. Assisteremo a una costante insurrezione, a resistenza armata per anni. Gaza potrebbe diventare una nuova Somalia.

Il securitarismo razzializzato non è contrario agli obiettivi economici neoliberisti in termini di sicurezza interna e sospensione dei diritti. Una realtà che ha aperto la strada alla privatizzazione della difesa e della sorveglianza. A cosa può condurre?

A nulla di buono. È vero che un’occupazione nelle sole mani dello stato non è una buona occupazione. È orribile e oppressiva. A un palestinese importa poco se di fronte ha un soldato o una guardia privata. È vero anche che sempre più compagnie israeliane che testano armi a Gaza sono private solo di nome. Realtà come la Nso che ha prodotto Pegasus sono legate allo stato di Israele che le usa come «arma» diplomatica. Come Lockheed Martin: è una compagnia privata ma è di fatto un braccio degli Stati uniti, opera ovunque, in Iraq, Afghanistan, Ucraina, Libia. In Israele Netanyahu utilizza da anni le compagnie di difesa, spionaggio e sorveglianza per farsi nuovi amici nel mondo. Lo fanno tutti, gli Usa, la Russia, la Francia, anche perché l’industria dello spionaggio non è regolata ed è davvero difficile che qualcuno paghi per degli abusi. Quello che è unico nel caso di Israele è che Tel Aviv è l’unica ad avere un’occupazione alla porta: è il modo migliore per monetizzare.

Lei parla di politicidio del popolo palestinese, un processo di dissoluzione della sua esistenza come entità sociale, politica ed economica. Le politiche, dal 1948, a oggi non sono cambiate. Cambiano i mezzi. Quanto il sistema di sorveglianza è legato al progetto di colonialismo d’insediamento?

Lo è molto. Il primo sionismo riteneva la presenza palestinese una minaccia. L’unico modo per gestirla era estinguere i palestinesi, uccidendoli o rimuovendoli con la forza. Oggi, già prima del 7 ottobre, molti politici non solo di destra dicono regolarmente che si deve finire quanto iniziato nel 1948. È genocidio? È pulizia etnica? Qualsiasi termine si voglia usare, è orribile. E la tragica ironia è che quanto fatto nel 1948, nel 1967 e ora nel 2024 non ha reso Israele più sicuro. L’Occidente è ossessionato da Netanyahu, un leader terribile, ma il problema non è Netanyahu. Quando sarà rimosso, il suo successore farà esattamente lo stesso nelle questioni chiave come l’occupazione. Dico sempre che gli israeliani non saranno al sicuro fino a quando non lo saranno i palestinesi. E negli ultimi mesi abbiamo visto un livello di violenza senza precedenti, molto più imponente del 1948: allora furono uccisi 20mila palestinesi, ne furono espulsi 750mila. A Gaza oggi si contano almeno 35mila uccisi, gli sfollati sono due milioni.