Cara Foa, caro Jona,
vi ringrazio della vostra lettera che ci consente di continuare la discussione che sulle nostre pagine hanno portato avanti, da ultimi e su questi punti specifici, Roberto Della Seta e Roberta De Monticelli.

Sono convinto però che perché il confronto sia utile debba partire dalla condivisione di alcuni elementi di fatto.

Voi scrivete che la striscia di Gaza non è più occupata, ma lo è per status legale definito delle Nazioni unite dal 1967.

Il ritiro dei coloni e dei soldati ordinato da Sharon nel 2005 non ha cambiato la sostanza delle cose perché la definizione di territorio occupato non è data solo dalla presenza dei coloni (questa è una pratica vietata chiaramente dalla convenzione di Ginevra) ma dal controllo totale che viene imposto, anche dall’esterno.

Non servirebbero molte prove oltre alle dichiarazioni dei ministri di Tel Aviv che dopo il 7 ottobre hanno annunciato di voler lasciare la striscia senza acqua ed energia e poi lo hanno potuto effettivamente fare. E non è certo una novità, solo per fare un esempio il manifesto nel 2011 ha testimoniato al mondo grazie alle cronache del povero Vittorio Arrigoni la condizione di Gaza come prigione a cielo aperto.

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Israele controlla i movimenti, i confini, le tasse, i beni in entrata e uscita, gli archivi amministrativi, l’uso delle risorse alimentari non solo nella striscia ma anche in Cisgiordania che dunque non è occupata, come voi scrivete, solo «in una sua parte rilevante», ma lo è nell’area A come nell’area C come a Gerusalemme est (dove i palestinesi che la abitano da secoli, dal 1967 possono farlo solo da apolidi).

Quanto al trattamento dei cittadini palestinesi, voi sapete bene che non basta poter fondare un partito o poter votare per essere liberi. La legge dello stato nazione che voi giustamente criticate ha istituzionalizzato una situazione di fatto che esiste dal 1948, da quando persiste il divieto al ritorno dei palestinesi cacciati durante la Nabka. Una situazione che molte organizzazioni internazionali definiscono apertamente di apartheid. E una situazione che il manifesto grazie al suo corrispondete da Gerusalemme racconta da anni e costantemente. Sono oltre sessanta le leggi che limitano i diritti degli israelo- palestinesi (dai diritti di proprietà all’accesso ai fondi pubblici fino al diritto di commemorare le loro ricorrenze).

Il motivo per cui Hamas non è stato portato davanti alla Corte internazionale di giustizia è che quella corte dirime le controversie tra gli stati e Hamas non è uno stato e non per un sofisma ma per un dato di fatto. Per le atrocità commesse il 7 ottobre, può e deve essere condotto davanti alla Corte penale internazionale che giudica i crimini di guerra.

Trovo assai riduttivo definire l’azione di guerra di Israele a Gaza che dura da oltre cento giorni semplicemente come l’essere caduti in una trappola. Così come non è purtroppo vero che il lancio di volantini da parte delle forze armate israeliane può servire a limitare le vittime civili. La cronaca quotidiana e più ancora inchieste giornalistiche, anche della stampa israeliana che il manifesto ha tradotto e pubblicato hanno dimostrato il crudele inganno di queste misure. È successo ripetutamente che ai civili siano state indicate zone di fuga sicure e poi quelle zone e quei civili siano stati deliberatamente bombardati. Come hanno riferito le fonti di intelligence israeliana alla testata +972mag nell’articolo che abbiamo offerto alla lettura in italiano «tutto è intenzionale. Sappiamo esattamente quanti ‘danni collaterali’ ci sono in ogni casa. Quando una bimba di tre anni viene uccisa in una casa a Gaza, è perché qualcuno nell’esercito ha deciso che la sua morte non è un dramma».

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E così quotidianamente assistiamo a omicidi mirati anche negli ospedali e omicidi di giornalisti, vediamo il totale abbandono di ogni principio di cautela. È per questo che il numero dei morti civili non ha precedenti in alcuna operazione militare di questo tipo.

Cara Foa, caro Jona, teniamo in gran conto il vostro pensiero ma è proprio a partire da questi fatti che ho velocemente e sommariamente riepilogato che il vostro auspicio a che la situazione politica in Israele possa cambiare e che il gabinetto di guerra e Netanyahu possano essere mandati via è più urgente.

Ma più urgente di tutto c’è il cessate il fuoco per interrompere la carneficina di Gaza. Ed è la prima cosa da chiedere.