Caro direttore,
la lettura dell’articolo di una studiosa nota e apprezzata come Roberta De Monticelli ci ha lasciato con molti dubbi e perplessità.

L’autrice contesta l’abuso linguistico che si compirebbe attorno ad Hamas «milizia di resistenza armata» e a Israele «potenza occupante», nonché al termine «guerra» usato per il conflitto in corso e a quello di «democrazia» usato per lo Stato di Israele.

Ora a noi pare che si tratti di una costruzione semantica e ideologica per la maggior parte non condivisibile.

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Anzitutto Hamas non appare per quello che è; essa è certamente un’organizzazione resistenziale, ma è soprattutto una organizzazione terroristica e l’autrice lo ignora. Basta pensare all’abisso ideologico che separa Hamas dalla Resistenza italiana, lontana da ogni violenza indiscriminata verso civili inermi.

Hamas viene costituita nel 1987 e nel suo statuto all’articolo 7 propone l’uccisione di ogni ebreo ovunque si nasconda e all’articolo 11 la distruzione dello Stato di Israele. Lo statuto è stato attenuato solo a parole ma non nella sostanza nel 2017. Nel 1988 Hamas si oppone decisamente ad Arafat e ai mutamenti intervenuti nell’Olp per una negoziazione con Israele. Negli anni 1994-1995 si oppone decisamente agli accordi di Oslo con una serie micidiale di attentati suicidi in Israele provocando tanti morti innocenti.

Con la guerra dei sei giorni Israele conquista la Cisgiordania e Gaza che verrà restituita nel 2006 dal generale Sharon e resterà un enclave sovraffollata di soli palestinesi. Da quel momento Israele non sarà più la potenza occupante di Gaza. Hamas vincerà le elezioni del 2007 e quindi caccerà l’Autorità palestinese con un cruento colpo di Stato.

Da allora non avverranno più elezioni a Gaza ma esisterà solo il suo dominio statuale teocratico e un ferreo controllo politico, economico e militare. Il suo scopo statutario si realizzerà il 7 ottobre insieme alla dichiarazione ripetuta di distruggere Israele.

Quanto alla sorte e alla funzione degli abitanti di Gaza, il 26 ottobre sulla Tv araba Al Mayadeen, Ismail Haniyeh uno dei massimi leader di Hamas ha testualmente affermato: «Dico che siamo noi gli unici ad avere bisogno di questo sangue in modo da risvegliare in noi lo spirito rivoluzionario, la risolutezza, la sfida. E spingerci ad andare avanti». Ci pare un formalismo pretestuoso non riconoscere l’aspetto statuale del potere di Hamas su Gaza e non considerare come una guerra sia pur asimmetrica quella in corso. Ancora una volta l’operazione semantica dell’autrice sembra volta a circoscrivere il processo dell’Aia esclusivamente su Israele escludendo Hamas.

Vediamo infine la non democraticità dello stato di Israele.

È vero che Israele è una democrazia imperfetta, è vero che il National State Act del 2018 afferma cose che una buona metà dei cittadini israeliani contestano e cioè che Israele sia e debba essere uno Stato ebraico ed è vero che ciò contrasta con quanto esso ha stabilito nel 1948 e cioè di essere uno Stato democratico aperto e tollerante; ma è altrettanto vero che i cittadini israelo-palestinesi sono israeliani di pieno diritto, hanno i loro partiti, sono presenti nel parlamento israeliano, nelle professioni liberali, nella struttura sociale dello Stato. Resta però il fatto il fatto che essi sono da molti punti di vista, e non solo da quello economico politico ma anche dalla percezione sempre più razzista di una parte della società israeliana, cittadini di serie B.

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È vero che Israele occupa illegalmente una parte rilevante della Cisgiordania e la opprime con un regime dispotico militare contravvenendo a ogni principio democratico, ma è altrettanto vero che i palestinesi dal 1948 ad oggi hanno sempre rifiutato le varie proposte ragionevoli di pace avanzate da Israele.

Pur con tutti questi limiti e tenuto conto della sua ricca vita democratica interna, Israele resta di fatto l’unica democrazia – se pur zoppa – esistente nel Medioriente.

Per concludere noi pensiamo che Israele sia caduta in una trappola tesa abilmente da Hamas e favorita dal comportamento del governo. Gaza ha una densità di popolazione eccezionale, un intreccio indissolubile di tunnel perfettamente attrezzati per la guerra sottostanti a siti pubblici e case private. In questo contesto era evidente che i bombardamenti anche se mirati avrebbero comportato un numero insopportabile di morti, anche se preceduti da preavvertimenti, da volantini, da ordini di spostamento.

Noi pensiamo che sia stato un errore grave e una scelta disumana quella di intervenire militarmente bombardando Gaza. Ma si è trattato di una reazione all’evento più drammatico che mai sia avvenuto nella storia di Israele accompagnato dalla cecità della classe dirigente al potere e dal dissennato tentativo di indirizzare il paese all’occupazione della Cisgiordania.

Noi pensiamo che dopo questi tre mesi di guerra sia evidente l’insuccesso della scelta e delle azioni di Israele: il potere di Hamas non è diminuito, i suoi missili hanno continuato a colpirlo, la sua popolarità tra la popolazione palestinese è enormemente cresciuta mentre quella di Israele è diminuita ovunque e gli ostaggi sono rimasti nelle loro mani.

Noi pensiamo che sia indispensabile un radicale mutazione di politica e di paradigmi e che questo deleterio gruppo dirigente di Israele vada spazzato via al più presto con delle elezioni anticipate e che si ritorni a un discorso politico anche, necessariamente, nei confronti di un nemico mortale come Hamas.

Sarà difficilissimo ma indispensabile, anche se è un tempo in cui tutto il mondo sceglie le idee e la parte sbagliata. Sarà utopistico ma anche doveroso tornare alla ragionevolezza.

La risposta del direttore Andrea Fabozzi