Non parla di imprese il ministro dell’Energia Cingolani quando illustra ai colleghi il suo piano di risparmio energetico. È questo silenzio a connotare quelle che lo stesso ministro definisce «misure minime» e che tali sono davvero. Certamente un grado di riscaldamento in meno, da 20 a 19c, per un’ora in meno al giorno negli edifici pubblici e in quelli privati con riscaldamento centralizzato. Probabilmente lo slittamento dell’accensione dei termosifoni fino a novembre. Ipoteticamente il taglio potrebbe essere raddoppiato, due gradi e due ore in meno, nelle regioni più calde, se sarà proprio necessario. Ma per le imprese nessun taglio, perché la produttività resta l’ossessione di Draghi, la sua unica bussola. Se vorranno limitare per alcuni giorni al mese i metri cubi di gas potranno farlo, ma senza obbligo, solo sulla base del loro calcolo di costi e benefici. Stesso discorso per la Dad: «La scuola non si tocca».

È UN PIANO DAVVERO minimalista, quasi indolore. Il governo è convinto di potercela fare soprattutto sulla base di tre elementi: lo stoccaggio, che è arrivato all’83% della capienza; la diminuita dipendenza dal gas russo, passato dal 40% al 18% del fabbisogno; l’attesa per l’intervento della Ue. Quella però è un’incognita, anzi è l’incognita. Perché non è affatto chiaro quali saranno i contenuti reali delle misure che la Ue si accinge ad adottare e perché non è possibile quantificare ora l’impatto delle contromosse russe, probabili per non dire certe. Sul versante dell’iniziativa europea le cose dovrebbero chiarirsi nelle prossime due settimane. Il 7 settembre è in agenda il vertice dei direttori generali dell’Energia, due giorni dopo la tappa decisiva, il vertice straordinario dei ministri dell’Energia. Non decideranno niente ma sarà sulla base delle loro indicazioni che la presidente von der Leyen stilerà la proposta ufficiale, che dovrebbe essere presentata il 14 settembre.

SULLA RISPOSTA RUSSA si accumulano segnali più che eloquenti. Il vicepremier russo Novak ha annunciato ieri la sospensione delle forniture di petrolio ai «paesi ostili» che applicheranno il Price Cap sul petrolio. Difficile credere che la reazione al tetto sul gas possa essere più morbida. Il Ceo di Gazprom Miller ha poi annunciato un aumento del 60% delle forniture di gas alla Cina ed è una notizia che incide direttamente sulla guerra delle sanzioni tra Russia e Ue, perché l’aumento delle forniture alla Cina rende per la Russia meno onerosa l’eventuale sospensione della fornitura di gas ai Paesi Ue. Lo stoccaggio a passo di carica serve proprio a fronteggiare quella minaccia latente e in generale la Ue è oltre l’80%. Il problema sono i Paesi che non hanno capacità di stoccaggio, come i Baltici, l’Irlanda e la Grecia, e per i quali non è stato ancora predisposto l’eventuale piano di sostegno.

NEL COMPLESSO MOLTO dipenderà da quali scelte farà la Ue. Sul fronte del decoupling, lo sganciamento del prezzo dell’energia da quello del gas, non si registrano almeno per ora opposizioni e del resto è una riforma che sarebbe stata necessaria anche senza la guerra. Ma sostituire il modello vigente richiede tempo: difficilmente ci si arriverà prima della prossima primavera. Sul tetto al prezzo del gas invece le strategie divergono. L’Italia, come fatto capire da Draghi al meeting di Rimini, pensa a un taglio secco del prezzo limitato alla Russia. La Germania, che continua a temere la rappresaglia russa, punta invece a una sforbiciata più morbida: un limite ai prezzi fino all’80% dei consumi, con la differenza coperta dallo Stato, secondo il modello adottato da Spagna e Portogallo. La Germania può permetterselo, altri Paesi di meno, l’Italia per niente. L’Olanda, tra i paesi che ci rimetterebbero di più, ha smesso di opporsi ma con tutta la cautela del caso: aspetta di capire di cosa si sta parlando e quanto le costerebbe il tetto.

SARÀ NECESSARIA una trattativa forse lunga ma intanto l’inflazione corre, nell’Eurozona è al 9,1% e sul tavolo dei banchieri centrali, che si incontreranno alla vigilia del vertice sull’Energia, c’è l’ipotesi di un rialzo drastico del tasso d’interesse, di 0,75 punti base. Sarebbe la stretta più rigida da quando c’è l’euro e nella situazione data la recessione sarebbe quasi più una certezza che un rischio. Per famiglie e imprese italiane il morso del caro energia è dolorosissimo già oggi. Ma di questo nel consiglio dei ministri di ieri non se ne è parlato. Draghi però starebbe meditando sulla possibilità di alzare ulteriormente la tassa sugli extraprofitti. Sempre che qualcuno la paghi.