Gas in frenata dopo le mosse europee. Governo avanti piano
Bolletta bollente Chiusura a 254 euro. Il governo aspetta nuove entrate e spera che la minaccia di multe salate convinca le società a pagare il dovuto
Bolletta bollente Chiusura a 254 euro. Il governo aspetta nuove entrate e spera che la minaccia di multe salate convinca le società a pagare il dovuto
Lo scarto tra la disponibilità del governo e le richieste dei partiti, motivate certo anche dalle esigenze elettorali ma soprattutto dalla situazione reale del Paese, invece che restringersi si allarga. «I numeri si conoscono solo qui dentro», commenta con i suoi collaboratori più stretti il ministro Franco: quei numeri che solo il Mef conosce dicono che per il momento contro il caro energia si può fare poco, anzi pochissimo. Lo sconto di 30,5 cent su ogni litro di benzina sarà prolungato dalla scadenza del 20 settembre al 5 ottobre, questo è certo, o forse sino al 20 ottobre, questo invece è solo probabile. Il credito di imposta al 25% per le imprese ad alto consumo di energia verrà esteso all’ultimo trimestre dell’anno. Forse, perché al momento la copertura non c’è. Figurarsi dunque le difficoltà di un raddoppio al 50%, come chiede Letta o anche solo al 30%, come ipotizzato dal ministro Franco. Balla anche la cig scontata per le aziende penalizzate dal caro energia o dall’impennata dei prezzi delle materie prime. Dovrebbe esserci ma l’ultima parola il Mef non la ha ancora detta.
PER QUELL’ULTIMA parola bisognerà attendere almeno il 10 settembre, quando saranno state contabilizzate le entrate tributarie di luglio e agosto, che secondo le previsioni dovrebbero portare 5-6 miliardi, e quando sarà chiara la situazione della tassa sugli extraprofitti. L’acconto doveva portare 4,2 miliardi. Ne mancano 3 ma oggi scade il termine per il ravvedimento operoso dopo di che la sanzione diventerà salatissima dato che il dl Aiuti-bis, in via di conversione, porterà la multa dal 30 al 60% del dovuto. Draghi e Franco sperano che la minaccia porti in cassa all’ultimo momento almeno una congrua parte dei 3 miliardi mancanti, ma non è facile: moltissime aziende si sono affidate al ricorso per incostituzionalità in modo da aspettare almeno la prima sentenza del Tar, l’8 novembre.
IN OGNI CASO I FONDI a disposizione non dovrebbero arrivare oltre gli 8-10 miliardi, circa un terzo di quello che servirebbe per le misure chieste dai vari partiti che infatti, chi più chi meno apertamente, puntano allo scostamento di bilancio. Calenda, Salvini e Conte sono espliciti. Letta insiste sull’intervento «rapidissimo» e non parla di extra debito ma la richiesta è implicita nel volume di misure invocate. Tajani non lo esclude sia pur solo se proprio necessario. Fuori dal coro c’è una voce sola, ma non secondaria: quella di FdI. Sono numerosi i fratelli che bocciano lo scostamento e si dichiarano d’accordo con il No di Draghi. Il più autorevole è Giulio Tremonti secondo cui uno scostamento ora, «con l’inflazione e la speculazione in ripresa sarebbe molto rischioso».
Giorgia Meloni è impegnata ora nell’imporre l’immagine della garante dei conti pubblici, accreditandosi così ulteriormente presso le capitali occidentali già molto ammorbidite nei suoi confronti dallo schieramento radicalmente atlantista. Non c’è garanzia migliore, per lei, di quella rappresentata dalla stima e fiducia di Draghi. Giorgia ci tiene però anche a far capire di essere impegnatissima nel cercare una soluzione per le sofferenze di famiglie e imprese: «Troviamoci tutti in Parlamento lunedì e proviamo ad approvare norme che permettano una situazione sostenibile». È più teatro che altro: che senso avrebbe una estemporanea convocazione delle Camere quando il governo non è ancora in grado di quantificare l’intervento possibile, una volta escluso lo scostamento di bilancio?
IN REALTÀ PALAZZO CHIGI e il Mef non aspettano solo che i conti dell’ultimo bimestre siano chiari e certi. Se mirano a rinviare sino a dopo il 9 settembre, data della riunione ufficiale dei ministri dell’Energia della Ue, è perché sperano che di qui a quella data a intervenire drasticamente sia l’Europa. L’intervento che ha in mente la presidente von der Leyen è in due tempi. La riforma del mercato dell’energia non sarà possibile prima della primavera 2023 però interventi emergenziali, come l’introduzione temporanea del Price Cap e forse anche il disaccoppiamento tra il prezzo del gas e quello dell’elettricità, sono invece presi davvero in considerazione. Già l’ipotesi concreta di un intervento europeo a breve basta a raffreddare la situazione sul mercato di Amsterdam.
Il prezzo del gas ha chiuso ieri a 254 euro al megawattora e a un certo punto era arrivato anche a 242 euro. È un classico effetto delle aspettative suscitate dall’inatteso «risveglio» europeo e dalle aperture tedesche. Se a questo punto fossero deluse, il boomerang sarebbe però inevitabile.
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