Fuoco sull’Onu a Rafah, inferno a Jabaliya
Striscia di sangue È il primo operatore straniero delle Nazioni unite ucciso dal 7 ottobre. Halevi: siamo come Sisifo, attaccheremo ovunque. Stop agli aiuti, oltre ai camion Israele blocca anche i lanci con i paracadute
Striscia di sangue È il primo operatore straniero delle Nazioni unite ucciso dal 7 ottobre. Halevi: siamo come Sisifo, attaccheremo ovunque. Stop agli aiuti, oltre ai camion Israele blocca anche i lanci con i paracadute
È un cittadino straniero l’operatore umanitario delle Nazioni unite ucciso ieri da spari partiti, denunciano con forza i palestinesi, da postazioni israeliane contro un’auto dell’Onu diretta allo European Hospital, tra Khan Yunis e Rafah. Si tratta del primo membro straniero delle Nazioni unite ucciso a Gaza dal 7 ottobre. Nel chiedere con fermezza un’inchiesta immediata sull’accaduto, il Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha ricordato che 190 dipendenti delle Nazioni unite sono stati uccisi da bombardamenti israeliani. Un’altra persona, pare una donna, è stata ferita. I due viaggiavano su un veicolo con la bandiera delle Nazioni unite e con i segni identificativi. Hamas parla di due morti. La vittima era un membro dello staff del dipartimento di Sicurezza e Protezione dell’Onu (Dss). Tel Aviv ieri affermava che non è chiaro se a sparare siano stati i soldati israeliani. L’accaduto non potrà non rilanciare le tensioni tra Israele e la comunità internazionale seguite all’uccisione, circa due mesi fa, di membri (6 stranieri e un palestinese) della Ong World Central Kitchen, colpiti da attacchi di droni sulla strada costiera di Gaza.
Il ministro della Difesa israeliano Gallant ha ribadito agli Stati uniti che l’offensiva a Gaza andrà avanti come è stato pianificato. E Herzi Halevi, il capo di stato maggiore, ha preso a prestito il mito di Sisifo per annunciare che le truppe ai suoi ordini continueranno ad attaccare ovunque, anche nelle zone di Gaza che Israele aveva «liberato dalla presenza di Hamas». L’enorme masso di Halevi, Hamas, continua a rotolare giù come quello spinto da Sisifo. «Ora operiamo ancora di nuovo a Jabaliya. Finché non ci sarà un processo diplomatico per sviluppare un governo nella Striscia che non sia Hamas, dovremo lanciare ancora campagne per smantellare le infrastrutture di Hamas. Sarà come il compito di Sisifo», ha detto il capo di stato maggiore citato dalla tv Canale 13. Perciò, si combatte di nuovo a Jabaliya, nel nord di Gaza, dove gli uomini del movimento islamico e di altre formazioni armate palestinesi non solo hanno recuperato postazioni perdute nei mesi passati, ma stanno opponendo una resistenza alle forze israeliane che Halevi e il gabinetto di guerra di Benyamin Netanyahu non si aspettavano.
Nonostante i colpi subiti, dopo oltre sette mesi, le unità di Hamas sono ancora in grado di sparare razzi verso le postazioni dell’esercito a Kerem Shalom e le località israeliane adiacenti alla Striscia. Inseguendo lo slogan della «distruzione totale e rimozione di Hamas da Gaza», Israele sta affondando nella palude del suo possibile Vietnam. Netanyahu peraltro non trova partner per il suo progetto di sostituire Hamas. Si è tirata indietro anche l’Autorità Nazionale di Abu Mazen. La radio pubblica israeliana ha riferito Israele ha avuto colloqui con il capo dell’intelligence palestinese in Cisgiordania, Majdi Faraj, allo scopo di passare all’Anp la gestione del valico di Rafah, tra Gaza e l’Egitto, occupato dai reparti corazzati israeliani la scorsa settimana. Faraj avrebbe seccamente rifiutato.
A Jabaliya è tornato l’inferno di fuoco come nei primi tre mesi dell’offensiva israeliana. Tel Aviv sostiene di aver colpito 120 obiettivi in poche ore. I video girati dagli abitanti mostrano adulti e bambini in cerca di salvezza tra esplosioni e boati. Hamas e gli altri gruppi combattenti palestinesi intendono dimostrare che Israele non riuscirà nel suo intento di rioccupare e mantenere il controllo di Gaza. Da parte sua Israele lancia attacchi con mezzi corazzati e con droni e F-16. Gli scambi di raffiche continuano anche a Zeitun e altri sobborghi di Gaza city, come Sabra dove un raid aereo ha ucciso nella sua abitazione Talal Abu Zarifa, il principale dirigente del Fronte Democratico (sinistra) nella Striscia. I palestinesi, civili e combattenti, uccisi tra domenica e ieri mattina sono stati 57. Aumentano anche le perdite israeliane. Da venerdì sono stati uccisi cinque soldati e altri 68 sono stati feriti, alcuni dei quali gravemente.
A sud della Striscia, reparti corazzati israeliani procedono verso il centro Rafah. Almeno 360mila civili sono scappati dalla città per sfuggire all’attacco devastante. Lo confermano i boati delle esplosioni, tanto forti da essere uditi a fino a circa 30 chilometri di distanza all’interno del Sinai. «Il suono è stato incessante fino all’alba, si sentiva anche il rumore delle case che crollavano, poi è tornata la clma, mentre i due valichi di Rafah e Kerem Salem restano chiusi al passaggio di aiuti per la popolazione di Gaza e ai feriti in uscita», hanno riferito giornalisti egiziani e testimoni. Sul lato egiziano di Rafah, numerosi camion di aiuti restano in coda davanti al terminal sperando di passare. L’Egitto che negli ultimi giorni ha espresso in più modi la sua irritazione per la decisione di Netanyahu di attaccare Rafah – il ministro degli Esteri Sameh Shoukry parlando con il segretario di Stato Usa Blinken ha accusato Israele di «minacciare la sicurezza della regione» – aggiungendo che nelle ultime ore diversi aerei hanno chiesto di effettuare lanci di generi di prima necessità su alcune zone di Gaza ma i comandi israeliani hanno rifiutato. L’ultimo lancio di aiuti con i paracadute è avvenuto il 9 maggio.
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