Dalle prime audizioni ieri sulla legge di bilancio davanti alle commissioni riunite di Camera e Senato è emerso, almeno agli occhi di chi lo vuole vedere, un aspetto decisivo della manovra-manifesto ideologico del governo dell’estrema destra postfascista e leghista. La manvra non è un provvedimento organico. In fondo non lo è mai anche se fingiamo che sia il provvedimento più importante da mettere sotto l’albero. Ma, cosa più importante, è poco più di un quinto «decreto aiuti» che prolunga i bonus contro il caro-energia: 21 miliardi su 35, che si aggiungono ai quasi 60 stanziati da Draghi. E già sono stati annunciati dal ministro leghista dell’economia Giancarlo Giorgetti, a fine marzo, altri stanziamenti che andranno a parare i costi dell’inflazione, della latitanza politica strutturale europea sul prezzo del gas in un’economia di guerra e degli aumenti che tartassano salari e redditi. A Viale XX settembre stanno pensando a un sesto decreto aiuti. E attendono i primi dati sui prossimi trimestri che dovrebbero registrare una «recessione tecnica». Siamo in una policrisi, qualcuno dovrebbe dirlo. E questi sono gli effetti.

A QUESTA SELVA di «tamponi» la legge di bilancio ha aggiunto una lenzuolata di misure vessatorie come il taglio del «reddito di cittadinanza a 660 mila «occupabili» con un risparmio da 734 milioni di euro. Oppure il taglio della rivalutazione delle pensioni che prende in un solo anno 3,7 miliardi per finanziare la flat tax fino a 85 mila euro che discrimina le partite Iva impoverite ed è un affronto ai dipendenti. C’è poi il ritorno dei voucher per dare un’altra spallata alla precarizzazione del lavoro; una norma minimale sugli extraprofitti che dovrebbe portare 2,5 miliardi, siamo lontanissimi dai pur insufficienti 10 miliardi preventivati da Draghi. Senza contare normette ornamentali a favore della piccola evasione come quella sul «Pos» a 60 euro. Senza contare i vari condoni mascherati chiamati «pace fiscale». E indigna il taglio di 700 scuole nel prossimo biennio, la riduzione di oltre 1.400 dirigenti scolastici e Dsga senza risorse per il nuovo contratto ma con 70 milioni alle paritarie. Ed è tornato il sempre verde ponte-sullo-stretto-di-messina.

LE AUDIZIONI dei sindacati Cgil-Cisl-Uil e, all’opposto, di Confindustria si sono trasformate ieri in un fuoco di fila contro il governo e la pochezza della sua manovra. «Manca una visione su quello che sta accadendo, siamo delusi dal risibile taglio del cuneo fiscale, ci sono interventi di natura elettorale come sul Pos o discriminatori tra dipendenti e autonomi come la Flat Tax, servono interventi anti-ciclici, ma qui non ce n’è uno» ha detto Carlo Bonomi, il presidente di Confindustria che preferirebbe dare alle agenzie interinali il business della formazione e del lavoro dei «percettori» del «reddito di cittadinanza». Non è detto che nel 2024 il governo non colga al volo l’idea che è sulla bocca di tutti gli ideologi neoliberali dentro, e fuori, il parlamento.

TRA TRE MESI il governo tornerà a raschiare il fondo del barile e a tagliare risorse al Welfare. Questo ha detto la segretaria confederale Cgil Gianna Fracassi quando ha detto che questa è «una manovra di cortissimo respiro, soprattutto per quanto riguarda le misure contro il caro energia che scadono alla fine di marzo 2023». «Le misure fiscali sono un simbolo e non servono al paese, vanno cancellati i condoni. Serve una riforma di sistema. Sui salari la manovra non fa nulla, va aumentata la decontribuzioni con misure di “fiscal drag”. Ed è inaccettabile tagliare il reddito di cittadinanza, l’unico strumento di contrasto alla povertà, è migliorabile».

«UNO SCOSTAMENTO di bilancio per reperire più risorse». È questo che serve per Ignazio Ganga della Cisl. La Flat Tax è «un intervento temporaneo», «un bonus una tantum più che un’imposta». I sindacati presenteranno un emendamento unitario su una manovra piena un po’ «di tutto e di niente» dice Domenico Proietti della Uil.

A DARE IL TONO a questa politica estenuata sono i simboli di una sedicente guerra «culturale». Lo ha ribadito Giorgetti che trova «coraggioso» il fatto che la manovra taglia le pensioni per dare ai «figli». Alla guerra di classe si aggiunge quella intergenerazionale spacciata per «giustizia». Capolavoro.