«La sferzava il vento e la pioggia, ma era porto, abbraccio e dolce consolazione. Sì, anche la nostra piccola casa aveva un’anima» cantava Grigoris Mpithikotsis all’inizio degli anni Sessanta in un celebre zeibekiko sulle note di Mikis Theodorakis. «Prendi la corona di fiori e i gerani, a Drapetsona non c’è più vita per noi, vivremo anche se poveri». I fatti di quegli anni avevano lasciato poca immaginazione alla scrittura del testo della canzone: una lettera con poche parole e molti timbri del governo aveva raggiunto le famiglie che vivevano a Drapetsona, misero sobborgo di Atene, ingiungendo l’abbattimento delle case e il trasferimento delle famiglie in condomini che sarebbero stati fatti costruire dopo la demolizione.

Allora Drapetsona era una baraccopoli cresciuta all’ombra del porto del Pireo, dove le famiglie dei profughi fuggiti dall’Asia minore nel 1922 avevano trovato casa e poi lavoro, impiegati nelle fabbriche di fertilizzante e nei cementifici che punteggiavano la zona. Alla fine della guerra civile greca, Drapetsona rimaneva una roccaforte dell’Eam, il movimento di resistenza comunista nato durante l’occupazione nazifascista: da lì la necessità di smantellarne il tessuto sociale e di cedere il terreno occupato dalle baracche alle industrie desiderose di espandersi.

Più di vent’anni dopo gli sgomberi, le ultime famiglie ottennero nuovi appartamenti nei condomini dello Stato. Oggi Drapetsona, quartiere grigio, ravvivato solo dai comignoli rossi delle navi passeggeri che si avvistano dai balconi delle case, assiste tra il viavai dei container e il trafficare delle gru, ai mutamenti che negli ultimi dieci anni hanno fatto del Pireo il più grande porto del Mediterraneo. La crescita vertiginosa porta una firma a caratteri cinesi: quella della compagnia statale China Ocean Shipping Company (Cosco) la cui presenza nel Pireo risale al 2008, quando si aggiudicò la gestione del traffico container sui moli II e III.

Dominio di Cosco

Era solo l’inizio: nel 2016, la compagnia ha ottenuto in gestione il 51% dell’Autorità portuale del Pireo (Ppa) fino al 2052. La privatizzazione si è ultimata nell’autunno scorso, quando Cosco ha acquisito un altro 16% del porto. Sotto la sua guida, in poco più di dieci anni il Pireo è passato dal 93° al 29° posto nella classifica mondiale dei porti con il più alto traffico di container e oltre 2mila posti di lavoro sono stati creati. Ma a quali condizioni?

In un’intervista rilasciata a «Der Spiegel», l’allora Ceo della filiale greca di Cosco, Fu Cheng Qui, aveva asserito: «Sono un socialista, posso comprendere perfettamente i lavoratori». Da quando la sussidiaria di Cosco, la Piraeus Container Terminal, è stata fondata nel 2009 per gestire i moli della compagnia cinese, a evolvere drasticamente non è stato solo il porto, ma anche le lotte sindacali che ne sono conseguite, a cominciare dalla costituzione, nel 2014, dell’unione degli scaricatori del porto del Pireo, l’Enedep, che oggi conta 900 lavoratori, su un totale di circa 2200 impiegati nei moli di Cosco. Nell’ottobre scorso, Dimitris Daglis, 46 anni, ha perso la vita dopo essere stato colpito da una gru a cavalletto durante lo stoccaggio dei container. Nelle ore successive alla sua morte, molte agenzie di stampa avevano diffuso la notizia che l’incidente fosse avvenuto quando Dimitris, fuori dall’orario di lavoro, era tornato sul posto per recuperare gli effetti personali. L’Enedep aveva così subito dovuto difendere la verità di quanto accaduto: l’operaio era morto poco dopo l’inizio del suo turno di lavoro.

Da lì, il sindacato si è riunito puntualmente in scioperi. La prima settimana dopo la morte di Daglis, una lunga scia di navi container riempiva l’orizzonte di fronte al porto; non c’era nessuno, infatti, disposto a scaricare le merci a bordo. Poi, lo scorso aprile, un altro lavoratore di 38 anni è caduto da 12 metri di altezza per la rottura di un parapetto su una nave container, riportando fratture multiple. Fuori dai cancelli del porto, i manifesti del sindacato reclamavano: «Non vogliamo altri morti per il profitto di Cosco».

«Da tempo chiedevamo che le navi fossero ispezionate prima dell’inizio dei turni di lavoro: non ci hanno ascoltato perché quando l’imbarcazione si ferma per i controlli la produzione si arresta» racconta Markos Bekris, presidente dell’Enedep, negli uffici del Centro del lavoro del Pireo; alle sue spalle uno scaffale stipato di bandiere del sindacato sorveglia la conversazione. Nonostante in Grecia la lotta dei portuali sia rimasta in larga parte sconosciuta, «ci sono stati scioperi in Messico, Danimarca, Turchia. Questa solidarietà è diventata la nostra forza».

Contratto collettivo

Poi, lo scorso 26 maggio un passaggio storico: la firma del primo contratto di lavoro collettivo, che avrà durata triennale e prevede la conversione a tempo pieno di tutti i contratti. «Abbiamo ribadito che non esistono lavoratori di prima e seconda categoria. Contavamo 700 scaricatori in tutto il porto assunti con un contratto trimestrale, o di 16 giorni al mese: il che vuol dire essere costretti a svolgere un secondo lavoro, e quando prendevano posto ai macchinari erano già stanchi» commenta Bekris. «Non si tratta soltanto di indossare un casco o le scarpe corrette, ma di condizioni di lavoro più umane: Dimitri indossava il necessario, eppure è morto comunque».

Fino allo scorso marzo, un costante armeggiare di gru aveva agitato le acque intorno al monumento che per i greci è senza tema di smentita «La tomba di Temistocle». Cosco aveva avviato la costruzione di un nuovo terminal per crociere, destinato a fare del Pireo il primo porto del Mediterraneo anche per quanto riguarda il traffico delle navi di lusso. A interrompere i lavori ci ha pensato il Consiglio di Stato, che ha giudicato illegittima l’autorizzazione perché non era stata effettuata la valutazione ambientale prevista dalle normative nazionali ed europee. Chi più di tutti ha accolto con favore la sentenza è stato un piccolo comitato di cittadini dal nome «No al porto nel comune del Pireo»: «Il lungomare è il nostro unico luogo di ritrovo – esordisce Dimitra Vini, rappresentante del comitato – ma con il nuovo terminal le navi saranno ormeggiate a pochi metri dalle case, l’inquinamento luminoso e il traffico dei pullman renderanno la zona invivibile». Nessuno del gruppo si illude che lo stop durerà a lungo. «Nei giorni successivi alla sentenza i lavori per l’ampliamento continuavano imperterriti: è dovuto intervenire un elicottero della polizia. E ora Cosco si sta organizzando con il ministero della Marina per riprendere i lavori» commenta Vini.

Pechino è vicina

Le ambizioni della compagnia cinese non riguardano solo il settore delle crociere: il progetto di espansione temporaneamente bloccato prevedeva anche un «super mall» di otto piani e l’ampliamento delle banchine commerciali nella zona di un altro comune che abbraccia il porto del Pireo: Keratsini. Nel porticciolo dedicato a San Giorgio, dove i pescatori della zona ormeggiano le barche, in un ristorante si serve frittura di pesce davanti alle gru che scaricano i container. Kapetantonis, capitano Antonio, finisce lì dopo la notte passata al mercato del pesce di Keratsini, lo snodo commerciale più importante della Grecia, dove da mezzanotte alle prime luci dell’alba si batte all’asta il pesce che raggiungerà i quattro angoli del paese, e i naselli arrivati dal Senegal familiarizzano con le sardine acciuffate nel mare delle Cicladi. Antonis ha il volto scurito dal sole e dal cattivo umore: «Cosco non ha un’idea di porto, ma di città: con l’espansione del Pireo vuole cambiare la Atene che vi ruota attorno. C’è chi è convinto che il recente percorso pedonale asfaltato sull’Acropoli serva a rendere più accessibile il sito per le frotte che sbarcheranno dalle crociere». Prende una pausa per accendere una sigaretta, e conclude: «Chissà che tra un po’ non propongano di allungare la pista d’asfalto per arrivare dal Partenone fino alla Muraglia cinese».