Il World Economic Outlook (WEO) del Fondo monetario internazionale è una delle pubblicazioni più importanti esistenti in materia economica e finanziaria; esce due volte all’anno, ad aprile e ottobre, e contiene un aggiornamento delle statistiche sui principali dati, una descrizione delle principali dinamiche, nonché le previsioni per un arco triennale.

L’impostazione è completamente interna al paradigma dominante, e per questo è una voce importante: se prevede guai per il capitalismo (che il Fondo continua implicitamente a considerare come il solo sistema possibile) significa che molto probabilmente stanno arrivando davvero.

Ad aprile scorso non solo è uscito il WEO ma un’altra pubblicazione molto importante: il Global Financial Stability Report, che il FMI dedica alla stabilità finanziaria.

I due rapporti non presentano un quadro rassicurante: guai in vista.

Quanto alle prospettive di crescita del PIL, tutte le previsioni vengono riviste al ribasso rispetto alle stime di gennaio scorso. Ma quello che preoccupa di più è il trend di ascesa di inflazione, in rialzo in tutto il mondo (nelle economie emergenti si prevede un +8,7%), per cui si suggerisce delle politiche più restrittive a carico delle banche centrali per contrastare il fenomeno (possibilmente concordate).

Il GFSR vede i rischi di aumentata volatilità sul piano finanziario e di crolli borsistici; il costo dell’indebitamento è cresciuto in linea generale, e ciò potrebbe portare alla necessità di ristrutturare il debito di alcuni paesi. Si cita anche il rischio di frammentazione del sistema internazionale dei pagamenti.

Tutto ciò non riguarda il futuro ma già il nostro presente. Ad inizio marzo, ad esempio, il Financial Times rendeva nota una lettera dalle European Federation of Energy Traders (una potente lobby che raggruppa tutti i maggiori produttori di energia da fonti non rinnovabili in Europa) in cui i suoi vertici invocavano assistenza finanziaria per il fatto che la volatilità dei prezzi stava mettendo in crisi gli operatori perché si richiedevano maggiori fondi da parte delle banche come copertura ( un po’ come se fosse obbligatoria un’assicurazione e fosse salito a dismisura il pagamento delle polizze).

Lo sfondo di queste prospettive è una nuova guerra finanziaria, commerciale e monetaria. I problemi tanto di esilitá della crescita e di aumento dell’inflazione erano già presenti; va ricordato che la crisi economica dovuta al covid-19 non era stata affatto superata, anzi a fine 2019 si stava prefigurando un’altra recessione (come paventava l’Outlook del FMI ad ottobre 2019) e le scarse prestazioni globali non avevano ancora dimenticato la botta della Grande Recessione del 2007-08.

Adesso l’invasione dell’Ucraina ha portato all’aggravamento di varie sedimentazioni di problematiche, instabilità e probabilmente la crisi della globalizzazione sta arrivando ad un punto cui è difficile tornare indietro. Oltre il protezionismo commerciale – reso famoso dallo stile muscolare ed esibizionista della presidenza Trump ma ampiamente praticato da Obama – largamente amplificato dalla sanzione di esclusione dallo SWIFT, adesso si declina la conflittualità sul piano monetario (riserve russe congelate per evitare che possano essere usate per rafforzare il rubli) e finanziario (limitazione delle prerogative di banche e soggetti finanziari nell’orbita di Mosca).

Su questo sfondo l’assetto di elevata interdipendenza per vari settori con una pretesa capacità di autoregolarsi dei mercati non può che trascinare le varie zone geoeconomiche in reciproca conflittualità in una serie di difficoltà che a meno di cambiamenti radicali nell’ambito delle strutture profonde possono portare a conseguenze pesanti per le popolazioni lavoratrici e popolari.