A Sultan Al Jaber, contestato presidente di Cop28, serviva un colpo di scena per mettere in secondo piano le polemiche e creare entusiasmo attorno al suo summit. E, a sorpresa, quel colpo di scena è arrivato. Nella prima giornata di Cop28, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima che ha aperto i battenti ieri a Dubai, gli Emirati Arabi Uniti hanno annunciato che il tanto atteso fondo loss&damage (il meccanismo perdite e danni) è finalmente operativo, e Abu Dhabi ci contribuisce da subito con 100 milioni di dollari. Si tratta del principale lascito di Cop27, quando i paesi del cosiddetto Sud globale ottennero l’istituzione di un meccanismo di aiuti a fondo perduto (ma i proponenti li chiamano “risarcimenti”) da parte dei paesi ricchi verso le nazioni più povere e colpite dalla crisi climatica.

Per un anno si era trattato sulla forma da dare a questo trasferimento di fondi, sull’identikit di donatori e riceventi e sull’entità degli stanziamenti. Ieri l’improvvisa accelerata: dopo l’annuncio emiratino la Germania ha messo sul piatto altri 100 milioni, il Regno Unito 40 milioni di sterline, il Giappone dieci milioni di dollari. Anche gli Stati uniti, grandi scettici del loss&damage, hanno dato la loro cifra: 17 milioni. Decisamente pochi, commentano gli analisti. L’Italia per ora non è pervenuta.

QUELLA DI IERI è una mossa diplomatica astuta. Innanzitutto la scelta di fare l’annuncio prima dei discorsi dei leader, che hanno inizio oggi, regala agli Emirati una giornata di attenzione mediatica e a Cop28 nel suo insieme un barlume di speranza. Serviva, dopo settimane di polemiche sul conflitto d’interessi di Sultan Al Jaber – presidente del summit ma anche ceo dell’azienda estrattiva di stato di Abu Dhabi – e le defezioni di Xi Jinping e Joe Biden. Poi, permette di strizzare l’occhio al G77 – il più dimenticato dei G, che riunisce Africa, America Latina e buona parte dell’Asia e che, da qualche anno, si sta facendo sentire alle Cop. Soprattutto, rimette al centro del dibattito il loss&damage, tema sul quale si temeva l’arenamento dei negoziati.

ATTENZIONE PERÒ ai festeggiamenti eccessivi. Nessuno si aspettava che si arrivasse a investire così presto nel meccanismo, ma i soldi stanziati rimangono spiccioli rispetto al dovuto – si parla di 100 miliardi di dollari annui. E le promesse di ieri sono una tantum, non obbligatorie. La partita è ancora tutta da giocare. E sulla sua riuscita pesano i fallimenti del passato. Nel 2009 alla Cop15 di Copenaghen si promisero 100 miliardi annui (le cifre spesso risuonano simili) in aiuti alla transizione, intesi allora anche come prestiti, entro il 2020. Risultato ancora non raggiunto.

L’ITALIA, IN TUTTO CIÒ, toccherà palla? Non è dato saperlo. Roma è solitamente silenziosa in sede Cop, adeguandosi alle decisioni europee – la delegazione comunitaria, d’altronde, è unica. Un anno fa alla Cop27 di Sharm el-Sheik Meloni, nella sua prima apparizione internazionale, non fece parlare molto di sé. Quest’anno in teoria si presenta con in mano il cosiddetto Piano Mattei – presentato come mano tesa verso l’Africa, ma fondato sul gas fossile e a oggi poco corposo. Domani la premier parlerà dal palco del summit: vedremo se ci saranno sorprese.

INTANTO CONOSCIAMO già un altro evento da seguire nella giornata che verrà: la presentazione di una inedita dichiarazione sui sistemi alimentari. Di cibo si parla poco alle Cop, ma contribuisce per il 14% delle emissioni globali secondo i dati Fao. Se il contenuto sarà ambizioso, la contrarietà maggiore dobbiamo aspettarcela anche da nazioni solitamente non così vocati ai negoziati sul clima – ad esempio l’Argentina, grande produttrice di carne. Per ora, sappiamo solo che anche il nostro Paese dovrebbe aderire.

Cop28 a sorpresa ha iniziato a far fluire notizie già dalla prima giornata. Le prossime settimane ci diranno se da questo summit così difficile e così criticato usciranno altre inattese novità positive.